«Laici capaci di scorgere Dio dentro le pieghe della storia, impegnati ad animarla dall’interno come lievito, capaci di valorizzare i germi di bene presenti nelle realtà terrene come preludio del Regno che viene. Laici promotori dei valori umani, tessitori di relazioni, testimoni silenziosi e fattivi della radicalità evangelica».
È questa la missione dei laici consacrati ritrovatisi per riflettere sull’attualità di questa vocazione nella Giornata di studio annuale dal titolo «Fedeltà a Dio, all’uomo e alla storia: la nostra ragione d’essere».
A 75 anni dalla promulgazione del Motu proprio di Pio XII, Primo Feliciter che il 12 marzo 1948 riconobbe gli Istituti secolari come una nuova forma di consacrazione, precisando e completando la Costituzione apostolica Provida Mater Ecclesia, il Convegno è stato promosso nel Centro Missionario del Pontificio Istituto delle Missioni Estere dal vicariato per la Vita Consacrata dell’Arcidiocesi in collaborazione con Ciis – Istituti Secolari della Diocesi di Milano – Usmi (Unione delle Superiori Maggiori d’Italia) e Cism (Conferenza Italiana Superiori Maggiori). L’incontro ha visto, al centro della mattinata, un’articolata relazione dell’Arcivescovo, proposta dopo il saluto del vicario episcopale di settore, monsignor Walter Magni e della coordinatrice diocesana del Ciss, Maddalena Colli. «Questa giornata – ha sottolineato quest’ultima – è l’occasione per approfondire la particolare vocazione che riunisce laici i quali accolgono il cammino dei consigli evangelici nella Chiesa, ma intendono vivere questo cammino nel mondo operando all’interno di esso nel riserbo della scelta fatta, da laici tra laici, sulla scia di tanti santi della porta accanto che in questi 75 anni l’hanno vissuta e testimoniata con una presenza operosa, con fantasia realistica indicando che è possibile coniugare, nella vita di tutti i giorni, l’amore totale per Dio e la passione per l’uomo».
Parole cui ha fatto eco monsignor Magni, ricordando gli incontri significativi con alcune figure di spicco del laicato consacrato, anzitutto, Giuseppe Lazzati, il rettore dell’Università Cattolica. «Il suo rigore morale, lo sguardo austero e pensoso, l’intuizione che fosse abitato da una spiritualità essenziale e profonda non potevano non colpire uno studente in ricerca quale io ero. E sempre di quegli anni, ricordo anche l’incontro con una donna affascinate e condottiera come Maria Dutto e, poi, da giovane prete, avendo l’opportunità di poter accompagnare tanti giovani in ricerca vocazionale, ho incontrato al Centro Nazionale Vocazioni a Roma, Piergiorgio Confalonieri dell’Istituto Cristo Re. Un uomo tutto d’un pezzo che ci ha lasciato nello scorso mese di giugno e che mi ha aiutato a superare una lettura clericale e autoreferenziale della crisi delle vocazioni, inscrivendo sempre la questione vocazionale nell’orizzonte decisivo e primario della ricerca del senso della vita da parte di ogni uomo».
La vita come vocazione
Dalla consacrazione laicale, dalla sua missione come vocazione e come risposta alla richiesta della costruzione del Regno di Dio, secondo le parole del Padre Nostro, ha preso avvio la riflessione del vescovo Mario che, a conclusione della mattinata, ha presieduto la celebrazione eucaristica.
«L’annuncio del Regno di Dio è un modo per riassumere tutta la missione di Gesù e, dunque, la missione che Gesù affida ai suoi discepoli. L’annuncio non è una dichiarazione, un’informazione, ma una vocazione, una chiamata alla partecipazione alla gloria di Dio di cui è piena la terra e la storia fino alla sua piena manifestazione. Questa comunione richiede una risposta, una vocazione che è vissuta in una pluralità di forme. La vocazione è sempre voce dello Spirito, ma si avvale di angeli, di messaggeri che chiamano a uniformarsi a Cristo e il saeculum, la secolarità, nella storia, chiama voi laici che avete intuito la consacrazione nel mondo. La tensione tra ciò che c’è nel mondo e «Venga il tuo regno» chiama i consacrati a testimoniare che la vita è eterna. La consacrazione laicale ha il compito di una riconduzione a Cristo di tutte le cose e la specificità dell’Istituto secolare è dimostrare che tutto ha a che fare con Dio.
Ma con quale voce la secolarità chiama perché una vita sia dedicata alla risposta? Come Gesù chiama ed è a sua volta «chiamato dal gemito del mondo», basti pensare a tante parabole, così deve essere per i consacrati, suggerisce monsignor Delpini che evidenzia. «Il costituirsi in Istituto secolare si deve intendere in funzione della consacrazione. La consacrazione, infatti, si può vivere in modi diversi: in una comunità religiosa, in una comunità di vita apostolica, in una forma personale senza forma istituzionale. L’Istituto secolare si costituisce nella persuasione che la consacrazione a servizio del Regno che viene nella vita laicale chiede di essere alimentata dalla condivisione, dal confronto, dalla fraternità. La missione del laico consacrato non è per l’Istituto, ma l’Istituto è per il laico consacrato. Quindi, la consacrazione in un Istituto è provvidenziale per trovare nell’appartenenza un riferimento, un sostegno, una formazione spirituale».
E questo – terzo punto messo a fuoco dall’Arcivescovo – non per sottolineare una differenza da altre realtà ed esperienze spirituali e religiose, quasi a costituire rigide caselle di appartenenza, ma per «sapere cosa siamo e non cosa non siamo». Anche e, forse, soprattutto, di fronte a un certo scoraggiamento per i numeri di oggi, con la diminuzione e l’avanzare dell’età di tanti consacrati e consacrate.
La situazione attuale
«Il Motu proprio e anche i discorsi di Paolo VI in occasione del 25° di Provida Mater», nota, infatti, il vescovo Delpini, «hanno un tono di meraviglia e di gratitudine per il fiorire degli Istituti secolari. Si respira un clima di entusiasmo, mentre celebrando il 75esimo di Primo Feliciter si corre il rischio di un velo di scoraggiamento e di malinconia perché non ci sono più vocazioni di giovani e in considerazione del numero ridotto dei consacrati, dell’età avanzata, dell’impressione di un’attrattiva sfumata per una forma di consacrazione appassionante, intensa di fascino e di promessa. Ma, forse, più degli “umori”, è importante considerare con realismo la secolarità come comprensiva della condizione umana e ritrovare l’ardore missionario» in tutte le condizioni della vita di ogni giorno, comprese, appunto, le situazioni più complesse come l’anzianità, la malattia, la diminuzione.
Nella consapevolezza – come ha illustrato Chiara Maria Minelli, ordinario di Diritto Canonico ed Ecclesiastico all’Università di Brescia, nella prima relazione della Giornata cui si è aggiunta, nel pomeriggio, una seconda di Giorgio Mazzola dell’Istituto Cristo Re – che essere laici consacrati implica «camminare su un piano inclinato come alpinisti dello Spirito», secondo quanto scriveva Paolo VI, che «con il suo sguardo penetrante e sulla scia del Concilio, diede il contributo più cospicuo all’intuizione del binomio secolarità e consacrazione»
«Si è formato un tragico divorzio tra fede e vita vissuta, ma la Chiesa è ancora capace di verdeggiare, ad esempio, con gli Istituti secolari». Così, aggiungeva Montini, «se rimangono fedeli alla loro vocazione propria, gli Istituti secolari diverranno quasi il “laboratorio sperimentale” nel quale la Chiesa verifica le modalità concrete dei suoi rapporti con il mondo».
Una visione ribadita da papa Francesco nell’udienza del 22 aprile scorso. «La consacrazione secolare è una vocazione, e una vocazione esigente. L’approvazione degli Istituti secolari da parte di Pio XII con la Provida Mater Ecclesia è stata una scelta rivoluzionaria nella Chiesa, un segno profetico. E da allora è tanto grande il bene che voi fate alla Chiesa, dando con coraggio la vostra testimonianza nel mondo».