Secondo il cardinale Francesco Montenegro, vescovo emerito di Agrigento, per la Chiesa i poveri «non sono un’appendicite», cioè un’infezione che può essere eliminata semplicemente asportando l’organo che ne è coinvolto. Sono, al contrario, «la sua ricchezza». Che cosa voglia dire questa frase lo sa bene Adele Alberti, 65 anni, che domenica 7 novembre, durante la Messa principale nella chiesa centrale di Garbagnate Milanese, ha ricevuto dal responsabile della Comunità pastorale don Natale Castelli il mandato, insieme a circa una cinquantina di altri volontari. Ex impiegata e pendolare, quando è andata in pensione ha deciso di dedicarsi a tempo pieno ai fragili che vengono a chiedere aiuto al centro di ascolto della parrocchia.
«È un servizio impegnativo perché i problemi sono tanti e le soluzioni non ci sono, vanno cercate e a volte la strada per trovarle è lunga e piena di battute di arresto – osserva -. Potrebbe sembrare frustrante. Invece, se penso all’amicizia che è nata da ogni relazione, devo riconoscere che ho ricevuto molto più di quello che ho dato. Proprio la fede mi ha aiutato a ragionare in questo modo».
A spingere i volontari della Caritas a dedicarsi agli altri concorrono tante motivazioni e chiederne ragione non rientra tra le consuetudini di chi presta tempo ed energie disinteressatamente. Nel nome della libertà altrui, si preferisce che a parlare siano i gesti, più che le parole. Ma quando si infrange questa regola non scritta, sotto le vesti di uomini e donne (moltissime) impegnate a offrire soccorso si trovano i cuori di credenti. Per questo essere riconosciuti per quello che si fa dalla comunità alla quale si appartiene non è una variabile indipendente.
La pensa così per esempio Sandro Fumagalli, 64 anni, medico, che ha conosciuto la Caritas da giovane volontario del servizio civile. Da allora il suo impegno non si è mai interrotto. Oggi è in pensione e vi dedica tutte le energie, coordinando il lavoro di altri come responsabile della Caritas cittadina. «Una persona può fare il volontario in Caritas perché trova soddisfazione in quello che fa, oppure perché trova gratificante aiutare gli altri – ragiona -. Per quanto mi riguarda, sono valide entrambe le ragioni, ma ce n’è anche un’altra. Per me è fondamentale che sia la comunità a chiedermelo».
Ecco allora che proprio la celebrazione del mandato non è un rito fine a sé stesso, ma un momento fondamentale. «Con la celebrazione del mandato in chiesa, davanti all’assemblea, vogliamo ribadire il ruolo pedagogico della Caritas nei confronti della comunità ecclesiale», spiega don Castelli. Ma è proprio il sacerdote a ricordare che «la Caritas ha anche il compito di sensibilizzare la società civile. Ed è per questo che quest’anno, finita la Messa, insieme al Sindaco siamo andati a inaugurare un centro di accoglienza per donne senza tetto e una cucina sociale, due servizi che la Caritas cittadina gestisce insieme al Comune». Due momenti, uno religioso e l’altro civile, entrambi essenziali per interpretare quell’immagine di Chiesa in uscita che profeticamente propone papa Francesco.