Milano, ore 7.42. Salgo in metropolitana. Le luci led, il design tecnologico dell’arredo e la climatizzazione che si fa apprezzare in queste accaldate giornate di giugno rendono il viaggio una piccola escursione nel mondo della fantascienza. Come in un’astronave, centinaia di persone concentrate a fissare il proprio smartphone. Mi accorgo di essere uno dei pochi che si permette di guardarsi attorno. Anche il clochard che chiede l’elemosina fatica a farsi notare, in questa foresta di persone aggrappate ognuna alla propria solitudine digitale.
In questi giorni la campagna promossa da Caritas “Scendi dalla Pianta” tocca la nostra città. E una domanda mi si affaccia alla mente in modo birichino: è proprio così vero che siamo scesi dalle nostre piante, per osare l’avventura dell’incontro? Abbiamo sì cambiato forma e sfondo alla foresta che abitiamo; l’abbiamo abbellita e addobbata con tanti oggetti tecnologici. Ma lo stile è rimasto lo stesso: i passeggeri che condividono con me il viaggio in metropolitana sembrano tanti individui asserragliati sulle loro piante, poco interessati a lasciarsi stupire dalla bellezza dell’universo che abitano; poco disposti a lasciarsi contagiare dal mondo in cui abitano. Utilizzano uno strumento che apre loro le strade del mondo, ma per percorrervi quasi sempre i soliti pochi metri, e per coltivare i soliti interessi.
E se il viaggio in metropolitana fosse in realtà una metafora del nostro quotidiano? Siamo il frutto dei nostri incontri, ci dicono tanti studi sulla storia umana. Da questi incontri può nascere una storia di guarigione, la scoperta di una salvezza insperata, che trasfigura la vita, dice Gesù a Zaccheo, invitandolo a scendere dall’albero su cui si era arrampicato. Ma scendere è più difficile che salire. Meglio restare nella posizione acquisita, ci dà sicurezza. Così si sviluppa in tutti noi quel sentimento di paura nei confronti dell’altro, che si rende esplicito nei confronti dello straniero, assunto a capro espiatorio di tutte le nostre insicurezze.
Oggi per sentirsi umani occorre ritrovare il coraggio dell’incontro; occorre ridare fiato alla voglia di rimanere stupiti dal bene che questo incontro è per noi, dall’inedito che porta con sé, dai tanti guadagni che ci lascia come dono. Difficilmente monetizzabili, questi guadagni sono nutrimento essenziale per la nostra vita: sorrisi, abbracci, lacrime, parole, sguardi … tutti ingredienti per una vita veramente umana, riempita dal calore della condivisione, e non dalla luce fredda (azzurrina) di una tecnologia che ci può dare anche piacere, ma alla fine ci rende tristi, perché soli.
«Il grande rischio del mondo attuale, con la sua molteplice e opprimente offerta di consumo, è una tristezza individualista che scaturisce dal cuore comodo e avaro, dalla ricerca malata di piaceri superficiali, dalla coscienza isolata. Quando la vita interiore si chiude nei propri interessi non vi è più spazio per gli altri, non entrano più i poveri, non si ascolta più la voce di Dio, non si gode più della dolce gioia del suo amore, non palpita l’entusiasmo di fare il bene. Anche i credenti corrono questo rischio, certo e permanente. Molti vi cadono e si trasformano in persone risentite, scontente, senza vita» (EG 2). Le parole di papa Francesco sono un invito chiaro e forte. Sono la sferzata che ci serve per trovare le energie e scendere dalle nostre piante, naturali o tecnologiche che siano. Abbiamo le potenzialità per trasformare il mondo, per riempirlo di quella gioia che tutti – ognuno di noi – cerchiamo con passione, con ansia, qualche volta con disperazione. Abbiamo questa potenzialità, se solo osiamo un passo: uscire dai nostri mondi e affrontare l’emozione dell’incontro con l’altro.
Sii orgoglioso di essere umano, scegli di non fare la scimmia. Partecipa al social contest di Caritas Ambrosiana “Scendi dalla pianta”