Nel 1967 ero sacrestano nella mia parrocchia dei Santi Marco e Gregorio di Cologno Monzese, un grosso centro alle porte di Milano. Una mattina il parroco mi disse: «Domani a Milano c’è una riunione per i sacristi nella parrocchia di Santo Stefano».
Il mattino dopo mi presentai al luogo del ritrovo nei locali della parrocchia. C’erano già alcuni presenti. Mi presentai al parroco monsignor Giulio Oggioni, che era l’assistente diocesano, che mi chiese di che parrocchia fossi; la mia risposta fu «Sono di Cologno Monzese». La sua fu una reazione negativa: «Lei non c’entra, è solo per quelli di Milano». Intervenne uno degli organizzatori presenti: «No, lasci monsignore, li faccia partecipare». Alla fine, rimanemmo all’incontro.
Fu la prima riunione di sacristi che si teneva a Milano. Parlarono alcuni organizzatori e l’Assistente presentò l’idea di creare l’Unione dei sacristi a Milano come già c’era in altre Diocesi, come ad esempio nel Veneto, con la finalità di attivare incontri informativi e associativi.
Si trattava però di creare anche un Consiglio dell’Associazione. Alla fine dei vari interventi fu proposto di eleggere un Consiglio dell’Unione; si procedette quindi a delle elezioni, evidentemente non preparate, così alla buona. Essendo la città divisa in Decanati capii che alcuni si conoscevano di già, infatti erano vicini di parrocchia o città. Iniziò così la votazione per il primo Consiglio dell’Associazione. E qui il diavolo ci mise lo zampino, non saprei dire come. Io e un amico «forestiero» votammo come tutti. Risultato dello spoglio: sorpresa! Io di Cologno Monzese e l’amico di Vimercate risultammo eletti.
Dall’essere quasi intrusi e non cittadini (al giorno d’oggi si direbbe: extra comunitari) ad essere eletti al primo Consiglio. Il diavolo o lo Spirito Santo? Io direi che lo Spirito Santo ha lavorato molto perché non voleva una divisione dei suoi ministeri: un’unica Chiesa, un unico vescovo.
Non fu facile portare la voce della periferia, ma permettetemi, eravamo due persone toste, di carattere. Anche noi «non milanesi» eravamo sacristi come loro. Ricordo, ad esempio, una delle tante battaglie, quella del contratto di lavoro che era solo per la città e non per la provincia. Ho avuto la fortuna di far parte della commissione per il primo contratto di lavoro.
Al primo incontro con i tre parroci fui subito bollato: «Lui non c’entra niente». Ebbene, alla fine tra i sì e i no, è prevalso il buon senso: un contratto diocesano esteso a tutte le parrocchie della Diocesi. Mi viene alla mente san Paolo: «Ho combattuto la buona battaglia e ho conservato la fede».
È vero. Permettetemi una confidenza (confessione), vi raccomando il segreto. Nella mia lunga vita di sacrista, uno degli ultimi anni, il rapporto col parroco era abbastanza teso, in un momento di scontro gli ho detto: «Sei fortunato che io non lavoro per te; ma per Lui, indicando con la mano il tabernacolo».
Si amici, è Lui per cui svolgiamo il nostro servizio, non lavoro. Il nostro servizio, la nostra continua presenza, quando facciamo le pulizie, sistemiamo i fiori o altro, è per Lui, perché crediamo nella sua reale presenza, non lo facciamo solo per i preti o la comunità. Dal tabernacolo ci vede, ci parla, ci ascolta, ci sostiene e ci dona le sue grazie. Sono sentimenti, emozioni che provi quando sei a contatto con Lui, quando per Lui pulisci, riordini, prepari il tempio per la sacra liturgia.
Non partecipo più agli incontri dell’Unione, però in occasione del nostro 50° non mancherò di venire per festeggiare insieme.