«Il senso religioso», titolo del più noto scritto di don Luigi Giussani, è il vero protagonista – rivissuto attraverso la voce stessa di questo straordinario educatore – dell’incontro «A lezione da don Giussani», promosso da Cl con la presenza dell’Arcivescovo, nell’Aula magna dell’Università Cattolica gremita di persone di tutte le età, tra cui moltissimi i giovani. Un’occasione unica per rivivere, come se si fosse in classe ad ascoltare il fondatore del Movimento di Comunione e Liberazione, la forza del suo pensiero con il suggestivo aiuto della tecnologia, con le immagini e tre stralci del podcast, in 13 episodi, intitolato anch’esso «Il senso religioso». Podcast disponibile su diverse piattaforme, che permette di ascoltare le lezioni tenute in Università da Giussani tra il 1978 e il 1985, mediante le registrazioni accuratamente restaurate nell’ambito dell’iniziativa voluta da Cl, curata da Roberto Fontolan e Michele Borghi e prodotta da Chora. E proprio Mario Calabresi, giornalista e Ceo di Chora Media, e Antonella Sciarrone Alibrandi, sottosegretario del Dicastero per la Cultura e l’Educazione della Santa Sede e professore di Diritto dell’Economia in Cattolica, con la moderazione del giornalista Stefano Zurlo, si confrontano sulle risonanze suscitate dall’ascolto della “lezione” del fondatore.
Ad aprire l’evento, Cesare Pozzoli, vicepresidente della Fraternità di Cl, e Mario Gatti, direttore della sede milanese della Cattolica.
Già 100 mila ascolti
Docente di Corsi di introduzione alla teologia presso l’Ateneo dei Cattolici italiani dal 1965 agli anni Novanta e molto legato a questa sua esperienza (come testimoniano le corrispondenze con alcuni rettori e intellettuali, illustrate da Gatti), don Giussani formò generazioni di studenti al «senso religioso come fatto reale», con quello che lui stesso chiamava «il metodo per affrontare i problemi decisivi della vita». Parole che, dal podcast, emergono in tutta la loro potenza, attraverso la sua inconfondibile voce e quel modo di comunicare trascinante che è risuonato per intero in Aula magna. «Sentire in questo caso è molto diverso che leggere – ha, infatti notato Calabresi, ripercorrendo la genesi del podcast che ha già superato i 100 mila ascolti -. Quando Fontolan mi ha chiamato, dicendo che vi erano delle cassette con le registrazioni di don Giussani, ho pensato che fosse una sfida bellissima poter restituire un’esperienza che era nella memoria di alcuni o solo una lettura per altri. Credo molto nei podcast perché, in un tempo di crisi di sfiducia, è difficile che la voce inganni. In questo caso è stato come riaprire quell’aula dove insegnava don Giussani».
Una sensazione cui ha fatto eco Sciarrone Alibrandi, che frequentò allora le lezioni di don Giussani: «Quella del podcast è un’idea veramente potente. Le parole giussaniane “esperienza con metodo” mi hanno accompagnato in questi quarant’anni. Risentire oggi don Giussani dimostra tutta la sua attualità con la proposta di una “ragionevolezza della fede” che era una convinzione fortissima trasmessa nei suoi corsi».
«Se pensiamo al 1978, a cosa erano Milano e l’Italia e come l’essere umano fosse una questione che appariva secondaria nell’epoca di scontri politici feroci, delle etichette e delle ideologie, capiamo che Giussani non ebbe timore di mettere a tema e riproporre la centralità dell’umano», spiega ancora Calabresi in riferimento al secondo podcast, nel quale il fondatore scandisce: «Bisogna partire da sé, dalla propria esperienza, osservare noi stessi nel quotidiano, occorre essere seri con la vita».
Impegnarsi con la realtà
«Nel richiamo all’impegno nella realtà che si presenta, anzi che si impone, comprendo meglio adesso quanto Giussani avesse ragione, perché la realtà di tutti i giorni ti misura e ti richiede un criterio. Questo per i più giovani è fondamentale, in un tempo che sembra inquietante e instabile, ma che è quello che ci è dato di vivere e con cui dobbiamo confrontarci», sottolinea la Sottosegretario, evidenziando l’affermazione di «don Gius» per cui «la scoperta in noi stessi del senso religioso deriva da un impegno con la vita intera». «È impegnandosi nella vita, nell’azione, nella realtà, che comprendiamo noi stessi e ci apriamo al destino», perché come diceva ancora il fondatore: «Io non mi faccio da me ed è nell’impatto con il reale, senza rinnegare e dimenticare nulla» che si può vivere nel profondo l’esperienza dell’umano.
«La vita ci dice sempre qualcosa» aggiunge Calabresi, rivolgendosi ai giovani presenti e citando Heidegger, «quando scriveva che ciò che rimane è la domanda e non la risposta, perché le domande sono le sole che permettono di crescere, di andare oltre, non fermandosi mai. La capacità di tenere gli occhi aperti è il migliore regalo che potete farvi, ragazzi. Se siete capaci di stupirvi, questo fa la differenza: la peggiore cosa che può capitarvi è il cinismo, fatevi tirare dentro nelle cose, coinvolgetevi. Come diceva don Giussani, “per affrontare i casi seri della vita bisogna essere seri”».
Insomma, un vivere intensamente il reale, senza se e senza ma, che sa «suscitare stupore e meraviglia, generando un senso di letizia e di restituzione».
Le conclusioni dell’Arcivescovo
Una restituzione che l’Arcivescovo esplicita attraverso tre parole, di cui la prima è «svegliati». «L’incontro con don Giussani è «incontro che risveglia la persona» attraverso «il desiderio che nasce da una promessa, l’inquietudine e lo stupore».
Poi, l’incontro «con un carisma che libera la libertà, autorizza a diventare quello per cui siamo fatti. Incontro che libera dalla dipendenza e chiama all’autonomia la persona», come fu quello con Giussani. La terza parola è una domanda posta direttamente ai giovani. «In cosa consiste l’attualità e l’inattualità di don Giussani? Con “inattualità” non si intende che Giussani sia superato – osserva -, ma che vi sono aspetti del suo pensiero che sembrano particolarmente provocatori e in contraddizione con la cultura e la mentalità d’oggi facendo sorgere l’interrogativo su quali siano le incrostazioni del pensiero che si sono accumulate da allora».
Come leggere, per esempio, il suo invito a «entrare nella propria intimità» per «incontrare se stessi e Dio»? «Non c’è nessuno che viene al mondo senza un desiderio e sembra che adesso viviamo solo di desideri piccoli, inseguendo la cronaca e la curiosità».
Occorre, suggerisce monsignor Delpini, un «percorso agostiniano» inattuale – e perciò provocatorio e fecondo -, in un tempo in cui «evitiamo di entrare nella nostra intimità, temendo di trovarvi mostri e sensi di colpa, e vogliamo vivere solo fuori da noi stessi». L’invito è, invece, a rientrare in se stessi che significa prendere sul serio la vita, percorrere quella strada, a volte inquietante, che porta a chiederci chi siamo e perché siamo al mondo. È solo andando in profondità che si arriva a capire che si vive per grazia».