Il grido della terra e quello dei poveri da ascoltare e da raccogliere. La terra da amare, da coltivare e da rispettare. Queste le parole che tornano più frequentemente nel convegno promosso alla Società Umanitaria dalla Coldiretti Milano Lodi Monza Brianza, con l’intervento dell’Arcivescovo. «Coltivare e custodire la terra che ci è stata affidata», il titolo della mattinata di confronto, cui partecipano i direttori di realtà della Coldiretti Lombardia e tanti iscritti.
L’avvio dei lavori
Letture dal Libro della Genesi (il giardino dell’Eden) e dal Vangelo di Luca (la parabola del ricco e del buon raccolto), la preghiera e filmati sull’attività della Federazione danno avvio ai lavori. Alessandro Rota, presidente di Coldiretti Milano, Lodi Monza Brianza, definisce il carattere fondativo dell’istituzione: «In tutti i nostri Statuti, in quello di Milano e della nostra Federazione nazionale, sono iscritti i principi della Dottrina cattolica. Abbiamo due grandi fortune: poter toccare con mano i frutti della terra e avere un’ipotesi positiva della nostra fatica. Oggi siamo la più importante realtà di rappresentanza del mondo agricolo, con 50 mila imprese (6 mila solo nel territorio di Milano), 60 mila addetti diretti e un grande indotto. Lavoriamo per un’agricoltura sempre più sostenibile, che trova le sue radici nell’antica tradizione della cascina lombarda dov’era vietato sprecare. Eppure abbiamo perso certezze in questo momento storico, nel quale dobbiamo mettere in campo battaglie, per esempio, per difendere il dono dell’acqua».
Accanto a Rota, Giovanni Benedetti, direttore regionale della Coldiretti, e i consulenti ecclesiastici della Lombardia, don Claudio Vezzoli e don Walter Magnoni, responsabile anche del Servizio diocesano per la Pastorale sociale e il Lavoro.
Le testimonianze
Davide Nava – nemmeno 24 anni di Roncello, delegato di Coldiretti Giovani Impresa Milano, Lodi, Monza Brianza – racconta la sua idea di un kit per fare salsicce, commercializzato «al fine di ricordare la tradizione e indicare la convivialità». Nella sua esperienza, entusiasmo, certo, ma anche amarezza per le difficoltà della burocrazia. Arriva la richiesta – rivolta all’Arcivescovo – di un possibile accordo tra Coldiretti e l’Arcidiocesi ambrosiana per utilizzare i terreni di proprietà di quest’ultima.
Pierluigi Nava, presidente Senior Coldiretti, ripercorre la storia (con l’aiuto portato dall’allora monsignor Giovanni Battista Montini al fondatore Paolo Bonomi) e delinea l’orizzonte in cui inserire le sfide del futuro.
Non manca una voce femminile con Rachele Cipolla, impegnata nell’azienda zootecnica di famiglia e responsabile interprovinciale di Donna Impresa: «Nelle nostre aziende, come donne ci siamo create spazi quali le fattorie didattiche, i laboratori di conoscenza, i Villaggi Coldiretti per confrontarci, e gli incontri nelle scuole. Quest’anno parleremo a oltre 2000 bambini, trasmettendo il nostro lavoro, informando sullo spreco alimentare e le buone pratiche dell’alimentazione e della salute».
Suora e agricoltore
È poi la volta della testimonianza di suor Vera d’Agostino, fondatrice della Comunità delle Figlie dell’Amore di Gesù e Maria che, in 100 ettari di terreno nelle campagne di Chieti, con 70 consorelle che hanno studiato agraria, coltiva e alleva in una fattoria. Donna e religiosa “di polso”, e lo si capisce subito, quando chiarisce: «Sono qui anche in veste di agricoltore. Vengo da una famiglia contadina in cui ho imparato ad amare la terra con la generosità della condivisione. Credo che il terreno dove poggio i piedi sia benedetto da Cristo tutti i giorni e penso che se noi uomini ascoltiamo questa terra, potremmo evitare tanti sbagli. La terra è come l’uomo, è l’uomo: la sentiamo respirare; cammina con noi. È il dono più bello che Dio ci ha dato, non avveleniamola, non facciamola ammalare. Nonostante i nostri maltrattamenti, la terra continua a darci i suoi frutti, ma dice: “Sto soffrendo”. Vorremmo crescere, come iniziativa, soprattutto per i nostri poveri, per i bambini e le famiglie, ma non riesco a trovare nessuno che ci aiuti, anche se è in costruzione una nuova fattoria, grazie proprio al sostegno di Coldiretti. Abbiamo caricato la nostra terra di troppe leggi: serve amore, non le calcolatrici».
Responsabilità per il dono
L’Arcivescovo, nella sua riflessione finale dedicata alla spiritualità del coltivatore, esprime «ammirazione, sostegno e incoraggiamento per Coldiretti», ringraziando per gli incontri già realizzati (nel 2017 al Villaggio Coldiretti e tre settimane fa al Farmer’s market di Milano). “Gioca” con le parole, come dice lui stesso, raccomandando di passare da «contadino a coltivatore».
«Il contadino vive il rapporto con la terra, il clima, il mercato come con una fatalità, mentre il coltivatore lo vive come une responsabilità da esercitare, un compito che chiede competenza ed esperienza – spiega -. Si pone domande anche sul fine: coltivare implica proporsi come fine quello di lasciare la terra migliore di come la si è trovata. Il coltivatore considera la terra, l’impresa, la competenza come un patrimonio, cioè è predisposto alla prospettiva dell’eredità, alla responsabilità di lasciare ai figli il frutto del lavoro di una vita. Un primo tratto della spiritualità del coltivatore si può, quindi, formulare come responsabilità per il dono: ricevere, coltivare, rendere conto, consegnare moltiplicato». In questo primo passaggio il riferimento è al paragrafo 67 dell’Enciclica Laudato si’.
Abitare e rendere personale
Poi, un secondo momento, «Dal legame all’abitare»: «Nel Medioevo si parlava del servo della gleba legato alla terra, non in virtù di una scelta, ma per un destino. Il coltivatore, invece, è abitante della terra come casa e passa dal subire un legame a godere di un “abitare”. Abitare una terra non è solo l’indicazione di un recapito. Si arricchisce di una spiritualità che invita a coltivare alcune virtù e a vigilare su alcune tentazioni. La virtù della stabilità, che evita il nomadismo, significa un “sentirsi a casa” che pratica la gratitudine, sperimenta la sicurezza, esercita una relazione affettiva con l’ambiente. Un secondo tratto della spiritualità del coltivatore si può formulare come le virtù dell’abitare la terra. Un abitare che rende personale il mondo in cui si abita».
Il senso del tempo
Poi il passaggio «dal tempo al calendario»: «Il tempo che logora può essere subìto come un nemico dell’uomo e, allora, la tentazione è di vivere il tempo con un’insofferenza che induce all’ingordigia del presente, del “tutto subito”. Il coltivatore saggio vive il tempo, non come durata che consuma, ma con la sapienza del calendario, con un ciclo di tempi e stagioni che rigenera, con un ritmo che permette di lavorare e di riposare».
Tempo che permette, dunque, la libertà, perché siamo noi a definire il ritmo dell’esistenza: «Interpretare il tempo come un calendario incoraggia a praticare la virtù della pazienza che sa aspettare, dell’attenzione che non si lascia sfuggire l’occasione. Un terzo tratto della spiritualità del coltivatore si può formulare come la sapienza del tempo, che non è una linea retta infinita, ma un calendario che invita ad atteggiamenti diversi», nei vari momenti del giorno e delle stagioni.
La vera spiritualità
Infine, l’appello. «Oggi è di moda una spiritualità che sembra essere un fitness dell’anima perseguito solo in vista del proprio benessere. L’uomo contemporaneo centra tutto su di sé, anche la spiritualità». Per i discepoli di Gesù, invece, la spiritualità e le virtù da praticare sono frutto dello Spirito Santo, il dono di Dio che rende figli nell’incontro con Gesù.
«La rivelazione cristiana fa star bene con se stessi e con gli altri – prosegue -. È la consapevolezza della condivisione del dono che aiuta a essere virtuosi quando vi è la tentazione dell’avidità. La spiritualità, che matura nel rapporto con il Signore al quale dobbiamo rendere conto dell’uso della terra e della vita, offre un fondamento solido. Nel Dna della Coldiretti è iscritto che il rispetto della legge di Dio fa bene ai campi, alle imprese e al benessere di tutti».
La sintesi è affidata a don Magnoni: «Papa Francesco ci dice che abbiamo di fronte a noi due gridi, quello della terra e dei poveri. Dobbiamo riuscire a metterli insieme, ascoltandoli; dobbiamo passare dall’essere soci all’ essere “prossimo”, come dice Paul Ricoeur. I soci sono collegati da un servizio, che immunizza dai rapporti, mentre essere prossimo, significa non avere un contratto formale, ma guardare in faccia, custodire le relazioni, prendersi cura».