di Silvano Stracca
Sono le 19 e 20 del 16 ottobre 1978, quando il primo Papa non italiano dopo quattro secoli e mezzo appare sulla loggia di San Pietro. Sulla piazza la gente si chiede se il nuovo Vescovo di Roma parli almeno un po’ l’italiano. Ed ecco le prime parole: «Sia lodato Gesù Cristo». E la richiesta d’aiuto: «Non so se posso bene spiegarmi nella vostra… nostra lingua italiana. Se mi sbaglio, mi corrigerete».
Così inizia il feeling col Papa “straniero”, che il 22 ottobre inaugura il suo servizio di Pastore universale dicendo: «Alla sede di Pietro a Roma sale oggi un Vescovo che non è romano. Un Vescovo che è figlio della Polonia. Ma da questo momento diventa lui pure romano. Sì, romano! Anche perché figlio di una nazione la cui storia, dai suoi primi albori, e le cui millenarie tradizioni sono segnate da un legame vivo, forte, mai interrotto, sentito e vissuto con la sede di Pietro».
Due settimane dopo, il 5 novembre, esce dal Vaticano per il suo primo pellegrinaggio. La mèta? Assisi, la tomba di San Francesco, patrono d’Italia. Al ritorno da Assisi va nella chiesa di Santa Maria sopra Minerva, dove riposano le spoglie mortali di Santa Caterina da Siena, l’altra patrona del nostro Paese. «Questa terra mi è sempre stata vicina – dichiara -. Ora essa deve diventare la mia seconda patria».
Incomincia subito a viaggiare per un Paese scosso in quegli anni da una crisi profonda, che ha la sua manifestazione più traumatica nel terrorismo. Presto gli diventano familiari anche i problemi della disoccupazione, con le visite nelle grandi aree industriali del Nord e i mali endemici del Mezzogiorno d’Italia, da Napoli alla Sicilia, dove un giorno, nella Valle dei Templi ad Agrigento, sale sulle sue labbra il grido: «Mafiosi, convertitevi!».
Il Papa venuto da lontano conosce bene la traccia impressa dal cristianesimo nella storia e nella cultura del nostro Paese. Non può dunque rassegnarsi al fenomeno della progressiva dimenticanza di tali radici. Gli appare subito urgente una nuova evangelizzazione. Non rinuncia a battersi a favore del referendum abrogativo della legge sull’aborto, nella primavera del 1981. Nel 1984 prende atto con soddisfazione della firma del nuovo Concordato.
Nel cuore della crisi dei primi anni Novanta, Giovanni Paolo II indice nel 1994 una “grande preghiera” per l’Italia, che apre sulla tomba di San Pietro e conclude a Loreto: «Se la società italiana deve profondamente rinnovarsi, purificandosi dai reciproci sospetti e guardando con fiducia verso il suo futuro, allora ènecessario che tutti i credenti si mobilitino mediante la comune preghiera».
«La mia seconda patria – riconosce al convegno di Palermo nel 1995 – sta vivendo un momento di crisi… Sta perdendo molto di quel patrimonio di convinzioni condivise e di valori profondamente umani e insieme cristiani che hanno costituito la spina dorsale della civiltà di questo Paese. Ciò è dovuto in gran parte all’incalzare di una cultura secolaristica, che trova un terreno singolarmente favorevole nell’odierna complessità sociale e nell’amplificazione che ne operano i mass media… Non è più possibile farsi illusioni».
Il Papa non italiano offre un singolare contributo al consolidarsi dei legami tra il nostro Paese e la Santa Sede. Quest’opera di avvicinamento e collaborazione è scandita dagli incontri con i vari leaders politici che si alternano a Palazzo Chigi. Tra i momenti più significativi, lo scambio di visite ufficiali in Vaticano e al Quirinale con i presidenti della Repubblica Pertini, Cossiga, Scalfaro e Ciampi. Nel novembre del 2002, per la prima volta, un Pontefice varca anche la soglia del palazzo di Montecitorio, cuore e garanzia della democrazia parlamentare.
In così solenne circostanza, il Primate d’Italia non può tacere sulle gravi minacce che pesano sul futuro della sua «seconda patria»: il calo delle nascite, il declino demografico, l’invecchiamento della popolazione, l’insufficiente riconoscimento e tutela dei diritti della famiglia, il clima morale predominante nei rapporti sociali, la crisi dell’occupazione soprattutto giovanile, le molte povertà, miserie ed emarginazioni che affliggono tante persone e famiglie italiane e immigrate. «Dio benedica l’Italia», conclude.