La Terra Santa, devastata da odio e rumore delle armi, ma anche la preoccupazione per gli atti antisemiti, torna nei pensieri del Papa che riceve una delegazione della Conference European Rabbis, la principale alleanza rabbinica ortodossa in Europa, la «voce dei rabbini in Europa», la definisce Francesco, che non pronuncia il discorso ma lo consegna a causa di una lieve indisposizione, come lui stesso dice ai presenti e come più tardi ribadisce il direttore della Sala Stampa vaticana Matteo Bruni rispondendo ai giornalisti: «Papa Francesco ha un po’ di raffreddore e una lunga giornata di udienze. Aveva il desiderio di salutare individualmente i rabbini europei e per questo ha consegnato il discorso. Per il resto le attività del Papa proseguono regolarmente».
A poche ore dall’ultimo appello alla pace in Medio Oriente di ieri all’Angelus, per Francesco dunque è ancora il momento di rinnovare questa pressante richiesta. Ancora una volta la violenza e la guerra sono divampate in quella Terra che, benedetta dall’Altissimo, sembra continuamente avversata dalle bassezze dell’odio e dal rumore funesto delle armi. E preoccupa il diffondersi di manifestazioni antisemite, che fermamente condanno. I credenti tutti, chiede il Papa, in un tempo di distruzione come quello che l’umanità sta vivendo, sono chiamati, nel nome di Dio, «per tutti e prima di tutti, a costruire la fraternità e ad aprire vie di riconciliazione».
Giustizia e dialogo
Non le armi, non il terrorismo, non la guerra, ma la compassione, la giustizia e il dialogo sono i mezzi adeguati per edificare la pace. Francesco si sofferma sul significato di «dialogo», inteso come il contatto dell’essere umano con il prossimo, laddove l’essere umano diventa egli stesso dialogo, seguendo la Parola di Dio. «Essa orienta i nostri passi proprio alla ricerca del prossimo, all’accoglienza, alla pazienza; non certo al brusco impeto della vendetta e alla follia dell’odio bellico».
L’eredità ebraica nel cristianesimo
Cristiani ed ebrei, prosegue il Papa, in virtù di tutte queste considerazioni, si avvicinano «gli uni agli altri attraverso l’incontro, l’ascolto e lo scambio fraterno», riconoscendosi «servi e discepoli di quella Parola divina, alveo vitale nel quale germogliano le nostre parole». Per essere quindi edificatori di pace, i credenti delle due fedi sono «chiamati a essere costruttori di dialogo», basandosi sulle proprie forze, sulle proprie capacità, e confidando nell’aiuto di Dio.
«Il dialogo con l’ebraismo è di particolare importanza per noi cristiani, perché abbiamo radici ebraiche. Gesù è nato e vissuto da ebreo; Egli stesso è il primo garante dell’eredità ebraica all’interno del cristianesimo e noi, che siamo di Cristo, abbiamo bisogno di voi, cari fratelli, abbiamo bisogno dell’ebraismo per comprendere meglio noi stessi. Perciò è importante che il dialogo ebraico-cristiano mantenga viva la dimensione teologica, mentre continua ad affrontare questioni sociali, culturali e politiche».
Ebrei e cristiani, testimoni di pace
Ebraismo e cristianesimo, aggiunge Francesco, non sono «due credo tra loro estranei» che si sono sviluppati «indipendentemente in spazi separati e senza influenzarsi a vicenda». Il Papa ricorda quando Giovanni Paolo II, durante la sua visita alla Sinagoga di Roma, era il 13 aprile del 1986, chiamò gli ebrei «fratelli prediletti» e «fratelli maggiori», osservando che la fede ebraica è «intrinseca» al cristianesimo. Quello tra ebrei e cristiani, quindi conclude Francesco, «più che un dialogo interreligioso, è un dialogo familiare»: «Cari fratelli, siamo legati gli uni agli altri davanti all’unico Dio; insieme siamo chiamati a testimoniare con il nostro dialogo la sua parola e con la nostra condotta la sua pace. Il Signore della storia e della vita ci dia coraggio e pazienza per farlo. Shalom!»