di mons. Luigi Crivelli
Presidente della Fondazione Sant’Ambrogio
In questi giorni si ricorda il quinto anniversario dell’inaugurazione del Museo Diocesano, avvenuta il 5 novembre 2001, una ricorrenza che si è voluta solennizzare nei mesi scorsi con la mostra Carlo e Federico. La luce dei Borromeo nella Milano spagnola e con l’iniziativa del Capolavoro per Milano (La Sacra Famiglia del Mantenga), momenti di alti contenuti culturali e notevole concorso di pubblico.
Uno sguardo sintetico al quinquennio trascorso ci consente di riconoscere che il nostro Museo ha superato ormai la fase della pura custodia e visualizzazione dei beni culturali ecclesiastici per imboccare decisamente quella della loro valorizzazione, che mette i visitatori in condizione di cogliere nei beni esposti non soltanto opere d’arte, ma strumenti di un più proficuo dialogo spirituale con il mondo soprannaturale che rappresentano e le allusioni alla fede cristiana di cui sono testimonianza.
In ogni tempo l’arte sacra ha testimoniato la teologia della fede; noi continueremo ad operare su questa linea, perché anche le comunità cristiane considerino il loro patrimonio artistico non un peso, ma una opportunità pastorale.
Lasciato alle spalle il passato del Museo Diocesano – la pura tutela materiale, e giuridica dei beni culturali – dobbiamo promuovere il futuro della istituzione che la porti a sentirsi parte attiva di un progetto urgente e tanto raccomandato: l’evangelizzazione.
Il futuro di un museo diocesano attivo è anche altro: diventare luogo di scambio di opere d’arte fra istituzioni analoghe, così che sia agevolato il superamento di barriere geografiche che impediscano ai più un’agevole fruizione di capolavori custoditi a distanza. Aver portato da Dublino La cattura di Cristo di Caravaggio e dal Kimbel art Museum di Forth Worth nel Texas la Sacra Famiglia con Sant’Elisabetta e San Giovannino ne è prova evidente, come lo è il fatto che noi abbiamo mandato la Capsella di San Nazaro in Giappone, che manderemo opere nostre in dicembre alla esposizione organizzata dalla Conferenza Regionale Cinese dei Vescovi di Taipei, Taiwan e nel 2007 la Capsella anche negli Stati Uniti.
Il futuro del Museo Diocesano è anche il suo progressivo aprirsi a forme nuove e recenti di creatività artistica , anche le più tormentate dalla drammaticità dell’esistenza, come sarà la Deposizione di Van Gogh che nei mesi di novembre e dicembre prossimi costituirà l’avvenimento più significativo del quinquennio . Dall’incarnazione del Cristo infatti si legittima una espressività umana e cristiana che aiuta il credente a cogliere il mistero di Dio al cui centro sta il dramma di colui che ha preso su di sé ogni dramma umano.
Il primo quinquennio di esistenza del Museo Diocesano verrà dunque caratterizzato da significativi avvenimenti espositivi, bibliografici e culturali. Ma non vorremmo che tutto si riducesse a fatti che si consumano nel breve tempo del loro accadere, come sarà del concerto programmato al Teatro alla Scala (il 15 novembre), né nella durata più lunga di una nuova pubblicazione o di qualche mostra. Il quinquennio pone premesse più esigenti al nostro Museo, compiti più impegnativi, tanto sul piano della sua esistenza, che nella sua identità, che nella sua operatività.
Per questo, dopo meditato iter, finalmente possiamo proporre la costituzione di Mudi – Insieme per il Museo Diocesano e che ci auguriamo incontri ampi consensi verso qualcuna delle modalità che propone.
Il tempo non lo ferma nessuno; l’uomo sarà sempre in un dialettico e intenso colloquio con se stesso e con il suo destino, con il presente e con l’eternità, con il qui e adesso e con il non ancora. Grandi domande albergano nel cuore dell’uomo e le luci che ci promettono facili e definitive illuminazioni cozzano con il permanere gravoso e, a volte, invalicabile degli interrogativi che ci incalzano.
L’arte, come la poesia, sono il terreno delle parole nuove. Paolo VI parlava dell’artista moderno quale “profeta e poeta, a suo modo, dell’uomo d’oggi, della sua mentalità, della società moderna”. Il cammino in salita di un museo diocesano vivo non può sottrarsi all’ascolto dei linguaggi nuovi.
La sfida che anche noi vogliamo raccogliere , con passaggi meditati e graduali, è quella di non sottrarci al dialogo con le espressioni più autentiche della modernità, delle sue proposte spesso contraddistinte apparentemente da non forme, tanto da essere definite astratte.