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Testimonianza

Il grido d’aiuto di padre Jihad: «La Chiesa in Siria sta morendo»

Il Superiore della comunità monastica fondata da padre Dall’Oglio è intervenuto in teleconferenza all’Ottobre missionario del Pime, raccontando la drammatica realtà del Paese e dei cristiani - sempre meno numerosi - che vi vivono, ma dicendo anche: «Noi abbiamo deciso di rimanere qui per sperare contro ogni speranza»

di Elena BOLOGNESI

10 Ottobre 2024
Il collegamento con padre Jihad (foto Marco Mascellani)

«Stiamo morendo… La Chiesa in Siria sta morendo!». Risuona così, drammaticamente, il grido di padre Jihad Youssef, attuale Superiore della comunità monastica fondata dal gesuita padre Paolo Dall’Oglio nel deserto della Siria nel 1991.

La locandina dell’Ottobre missionario al Pime (foto Marco Mascellani)

Nella serata di mercoledì 9 ottobre padre Jihad era atteso al Pime di Milano per un incontro di presentazione del secondo volume che raccoglie le ultime conferenze di padre Dall’Oglio (Dialogo sempre con tutti), prima del suo rapimento, avvenuto a Raqqa, nel nord della Siria, il 29 luglio 2013. Di lui non si è più saputo nulla. Padre Jihad era atteso di persona a Milano: il suo volo era previsto proprio il 7 ottobre, anniversario dell’attacco di Hamas che ha segnato l’inizio di una nuova fase di guerra che proprio in questi giorni sta portando a intensi bombardamenti da parte dell’esercito di Israele sul territorio libanese e siriano. Raggiungere l’aeroporto non è stato possibile e padre Jihad si è collegato dalla Siria per dialogare con il numeroso e attento pubblico presente in sala.

La Chiesa muore in Siria: è una questione di numeri. All’inizio della guerra, nel 2011, i cristiani delle diverse confessioni (cattolici, ortodossi e protestanti) rappresentavano circa il 10% della popolazione, con una presenza solida e integrata nel tessuto sociale e religioso del paese. Oggi nessuno azzarda stime, ma la percezione è quella di una morte annunciata che giorno dopo giorno prende forma.

L’introduzione della serata (foto Marco Mascellani)

Nelle parole del monaco siriano non c’è autocommiserazione, ma la fotografia di quello che sta accadendo: l’80% della popolazione in Siria vive sotto la soglia della povertà. L’emigrazione è un’emorragia inarrestabile, anche se in questi giorni arrivano a migliaia i libanesi fuggiti dai bombardamenti e tornano i siriani che proprio in Libano avevano cercato una via di fuga e condizioni di vita migliori.

Eppure, a fronte di numeri drammatici, i cristiani rimasti mostrano una vivacità sorprendente: solidarietà, educazione, vita spirituale. Chi è rimasto si impegna a servizio dei più piccoli e dei più deboli. «Siamo un monastero – dice padre Jihad -, ma in questi anni di guerra ci siamo trovati nella necessità di operare come una onlus. Come potevamo rimanere a guardare?».

Una nuova stagione di dialogo con l’Islam

Seguendo l’intuizione e il carisma di padre Dall’Oglio, la comunità prosegue il suo impegno di incontro e di dialogo con l’Islam e con gli ospiti musulmani, soprattutto giovani e famiglie, che hanno ripreso a visitare l’antico monastero, come accadeva prima dello scoppio della guerra. Il mandato di cui padre Dall’Oglio sentiva l’urgenza si esprimeva anzitutto in uno sguardo e in un atteggiamento di amore: guardare i fratelli e le sorelle dell’Islam con gli occhi di Dio, amarli per conto di Dio. «L’Islam mi è entrato nel cuore» diceva padre Dall’Oglio.

«Noi non siamo qui per convertire i musulmani – spiega ancora padre Jihad -, ma questo non rende meno vero l’invito di Cristo a portare il Vangelo. Un annuncio di gioia, che cerca l’armonia tra le diversità. Attraverso la preghiera, il lavoro manuale, l’ospitalità di tutti coloro che bussano alla nostra porta, il rispetto e la custodia del creato».

Padre Jihad durante la sua testimonianza (foto Marco Mascellani)

Le ultime conferenze di padre Dall’Oglio

Padre Jihad ricorda il contesto in cui sono nate le conferenze di cui il Centro Ambrosiano ha iniziato la pubblicazione nel luglio 2023 (Il mio testamento), a dieci anni dal rapimento di Dall’Oglio. Qualche mese dopo lo scoppio della guerra, nell’autunno 2011, a motivo delle sue posizioni a favore di un processo di riconciliazione e democratizzazione tra le diverse componenti della società siriana, la possibilità che Dall’Oglio venga espulso dal Paese si fa sempre più consistente. Decide così di consegnare alla sua comunità il “deposito” di storia e di intuizioni, di travagli e di trasformazioni del suo itinerario personale e di quello della comunità. E lo fa riprendendo il testo della prima regola “non bollata” e lo commenta, ogni mattina, in arabo. Quelle conferenze, trascritte e tradotte, vengono ora pubblicate per la prima volta. Nel giugno 2012 padre Dall’Oglio viene espulso dal Paese.

Il seme della nonviolenza

Non può mancare una domanda su un tema molto caro a padre Dall’Oglio, che torna nel volume nella forma di una meditazione tenuta il Venerdì santo 2012, il suo ultimo Triduo pasquale in Siria. Dall’Oglio sognava un’invasione pacifica della Siria, nel nome della nonviolenza, per mettere fine alla guerra. «A volte l’autodifesa è necessaria – sottolinea padre Youssef -, ma questo non toglie che è necessaria una vera e propria conversione del cuore. La violenza è dentro di noi e si manifesta in molti modi nella vita di tutti i giorni. C’è bisogno di ascesi e di preghiera». Per un cristiano nonviolenza non è un vezzo o qualcosa di naif: è imitazione radicale di Gesù, che si consegna inerme alle mani di chi lo vuole crocifiggere.

Il pubblico presente alla serata (foto Marco Mascellani)

C’è posto per la speranza?

A poche settimane dall’inizio del Giubileo – che mette al centro il tema della speranza -, la domanda a padre Youssef s’impone. «Ci stiamo confrontando con altri religiosi e religiose della Siria a proposito dei contenuti formativi che proponiamo e ci stiamo rendendo conto che nessuno spiega ai nostri bambini il senso della speranza cristiana. Dobbiamo tornare a parlare della speranza, proprio perché oggi è difficile parlare di speranza».

Il tema si intreccia con la scelta di rimanere, nonostante tutto: «Se non avessimo creduto alla risurrezione di Cristo, avremmo fatto scelte diverse, anche come comunità. Avremmo lasciato il Paese e cercato un piccolo monastero tranquillo dove pregare, curare il nostro giardino, intercedere per la pace. Noi invece abbiamo deciso di rimanere qui per incontrare Gesù che viene, per aprirgli la porta del monastero, per sperare contro ogni speranza, come Abramo, che ha creduto alla promessa di Dio. Anche noi abbiamo creduto alla promessa di Dio e speriamo contro ogni speranza che il mondo si possa risvegliare, che i cuori si possano convertire e andare insieme verso una scelta buona per tutti, che non lascia fuori nessuno. Per questo ci vuole sensibilità per la vita e umiltà».

 

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