C’è chi svolge il proprio Ministero in parrocchia, chi in ospedale o nell’insegnamento, chi in attività gestionali o alla guida di una cooperativa di servizi, chi si occupa di ecumenismo. Insomma, la varietà di carismi c’è e si vede, nell’Aula magna del Centro Pastorale Ambrosiano di Seveso intitolata al cardinale Martini.
Una felice coincidenza, perché fu proprio l’allora Arcivescovo di Milano a introdurre in Diocesi, nel 1987, il Diaconato Permanente. E, così, a ricordare e festeggiare questo trentennale importante con una mattina di riflessione e testimonianze, alla presenza dell’arcivescovo Delpini, è la quasi totalità dei diaconi permanenti ambrosiani. 142 uomini, di età compresa tra i 35 e gli 84 anni, quasi tutti con moglie e figli ai quali, il 4 novembre prossimo, se ne aggiungeranno altri 5, tutti coniugati, presenti anch’essi a Seveso e ricevuti a uno a uno dall’Arcivescovo prima dell’inizio del Convegno
«Lo stile proprio del Diaconato permanente non è appariscente, ma mai monotono; è capace di assumere tutti i colori della vita delle comunità e schiva il grigiore», dice, in apertura dei Lavori – ai quali partecipano anche alcuni Vescovi ausiliari e Vicari episcopali, sacerdoti e laici – don Giuseppe Como, dal 2012 rettore della Formazione al Diaconato permanente.
Dai propri ricordi prende avvio l’intervento di don Tullio Citrini, ecclesiologo, rettore emerito del Pontificio Seminario Lombardo che fu uno dei protagonisti della stagione iniziale del Diaconato in Diocesi.
«Non sapevamo bene come sarebbe stato il domani, ma fu una scommessa lucida su una figura che volevamo precisa ed esigente, non appiattita su un modello ideologico. Un’immagine evangelica e non clericale, ecclesiastica e di comunione che, quindi, ama la Chiesa sapendo curare il suo insieme. È la formula che si è rivelata vincente. Era difficile immaginare il futuro 30 anni fa, ma la cosa funzionò e funziona, pur con tutte le questioni che continua a porre», sottolinea Citrini che aggiunge: «Il cardinal Martini, che ci ha insegnato a sognare e a dare un volto ai nostri sogni, sognava 1000 diaconi in Diocesi. Non credo che sarà possibile, ma chi avrebbe pensato, nel 1987, al prezioso servizio dei Diaconi nei cimiteri o all’impegno svolto nell’accoglienza spirituale in Duomo? Senza una simile varietà non sarebbe possibile nemmeno il Diaconato Permanente».
Le testimonianze
Poi, le testimonianze: Ireneo Mascheroni, ordinato nel 1994, impegnato nella zona di Treviglio, direttore di una cooperativa che gestisce consultori e servizi alla famiglia, parla del Diaconato come di un “Ministero della soglia” e ripensa al cammino percorso dal 1987, uno dei temi sostanziali del Convegno.
Francesco Di Castro ordinato diacono dal 2004 e che svolge il ministero a Busto Arsizio, scandisce: «I Diaconi occupano il loro posto specifico nel vivere insieme ai poveri»
«Non c’è servizio alla carità che posa prescindere dai poveri. Diacono significa servo di Dio», osserva raccontando la bella esperienza di Busto dove Caritas, San Vincenzo, Movimenti e Associazioni hanno unito le forze a livello decanale riuscendo a portare pasti giornalieri (frutto di un accordo per poter utilizzare il cibo non consumato nelle mense scolastiche) ad anziani soli e persone in difficoltà.
Cristina da Arosio, mamma che lavora, moglie di Antonio Mottana, dà voce alle spose indicando 3 dimensioni dell’essere moglie di un Diacono: «esperienza di Grazia, di educazione alla gratuità, di gioia. Il sacramento dell’Ordine di mio marito ha riplasmato e sta riplasmando la nostra vita di coppia con una nuova vitalità in termini di relazioni buone e costruttive dentro e fuori la famiglia. Noi possiamo richiamare i nostri mariti a non farsi prendere dal clericalismo. È importante»
Infine, don Maurizio Pessina, parroco e decano di Bollate, dove sono attivi 5 Diaconi permanenti, delinea alcune «parole-chiave», per definire il senso del Diaconato di questi anni e delle prospettive di domani: «Memoria grata al cardinale Martini, all’esserci del Diaconato permanente, gratitudine perché il Diaconato Permanente è un richiamo anche per i presbiteri per capire chi siamo e a cosa siamo chiamati. La seconda parola è consapevolezza della preziosità in sé del Diaconato e della opportunità per la Chiesa di questo Ministero. Consapevolezza anche delle resistenze che ancora permangono da parte del mondo laico e di alcuni preti: consapevolezza, che deve maturare, della fraternità in cui dobbiamo vivere».
«E, ancora, lungimiranza nel comprendere che il Diaconato Permanente deve declinarsi nelle nuove strutture dell’organizzazione della nostra Diocesi come le Comunità pastorali o le Aree omogenee.
Profezia perché i Diaconi sono in prima linea, da consacrati, in ambiti normali dove normalmente il presbitero non può essere. Questo è un vantaggio straordinario per portare l’annuncio del Vangelo». «Una presenza della Chiesa in mezzo al popolo, profetica e gratuita. quella del DP», conclude don Pessina, «per la quale si potrebbe pensare a un “cantiere aperto” di discernimento che permetta di arricchire la riflessione e la ricaduta pastorale».
La riflessione finale dell’Arcivescovo
Monsignor Delpini, intervenendo a conclusione della mattinata, parla di alcuni «contributi» per il presente e il futuro del Diaconato, a partire dall’invito «a una sosta contemplativa che consideri la Chiesa nel suo insieme come una Gerusalemme nuova. Questo per avere la gioia di essere elementi che costruiscono la città nuova. Il tema di una sosta, che si lascia riempire il cuore di gioia, può aiutare ad aver fiducia, prima ancora di prendere determinazioni operative. La contemplazione ci aiuta a raccogliere un messaggio complessivo che integra varietà e complessità»
L’Arcivescovo usa, allora, un’immagine per il Diaconato permanente: «È come quando si costruisce una casa e si lascia, nel muro, un vuoto che diviene lo spazio di una porta: una possibilità di entrare nella comunione con Dio a servizio della città».
Poi, un secondo invito a contribuire alla bellezza della Chiesa con la propria santificazione essendo custodi del servire in Essa, come ha chiesto papa Francesco in Duomo, lo scorso 25 marzo, rivolgendosi appunto ai diaconi permanenti.
Da qui, una terza indicazione: «Il Diacono è inserito nel Ministero ordinato: un Ministero che si può prestare solo in una logica comunionale come appartenenza, in un unico Sacramento, a servizio del sacerdozio battesimale. Il Diaconato, così, aiuta a definire il significato dei Ministeri Ordinati, facendo capire al prete e anche al Vescovo chi è. Infatti, sia il sacerdote che il diacono sono ordinati per essere collaboratori del Vescovo. Occorre articolare meglio questo aspetto perché la dimensione del diacono non deve essere quella di “un prete in piccolo”».
Ma per fare tutto questo, suggerisce Delpini, si deve percorrere un cammino di santificazione che ha bisogno di una vita di preghiera costante e custodita più di quanto talvolta il diacono, tra famiglia e impegni, riesce a fare. «Credo che si debba essere capaci di pregare al punto da creare una spiritualità diaconale. In questo senso, i percorsi di formazione permanente sono forse un po’disattesi». Come a dire, per diventare santi, non si può esser assenti, anche perché le sfide del nostro tempo, come la promozione dei laici, sono tante e stringenti.
«Si è detto che il DP è “Ministero della soglia”: i diaconi sono chiamati a fare sintesi e non a sostituirsi ai laici, ma a farli crescere come testimoni di vita cristiana nei loro ambienti. Grazie del bene che volete alla Chiesa e del tanto bene che fate».