«Essere cristiano in un mondo che non lo è più»: questo il titolo della prolusione dell’Arcivescovo emerito di Malines-Bruxelles, cardinale Jozef De Kesel, per l’inaugurazione dell’anno accademico 2024-2025 della Facoltà teologica dell’Italia settentrionale e dell’Issrm, in programma giovedì 12 dicembre, dalle 15, presso la sede in via Cavalieri del Santo Sepolcro 3 a Milano; alle 16.45, nella Basilica di San Simpliciano (piazza San Simpliciano 7), seguirà la celebrazione eucaristica presieduta dall’Arcivescovo, monsignor Mario Delpini (vedi qui l’invito con il programma).
«L’invito rivolto al cardinale de Kesel nasce dal desiderio di ascoltare una voce autorevole tra i pastori della Chiesa cattolica del nostro tempo, che riflette sul futuro del cristianesimo in un contesto in profonda trasformazione – spiega don Angelo Maffeis, preside della Ftis -. In particolare, per chi ragiona sulla missione della Chiesa oggi e sulle condizioni che permettono di comprendere e accogliere il messaggio evangelico, può essere utile mettere a confronto la diversità dei contesti culturali e le questioni di fondo che attraversano in profondità il continente europeo. In questo momento storico la teologia vorrebbe dare un contributo originale alla vita della Chiesa e tale contributo consiste anzitutto nell’aiuto che essa può dare alla comprensione del tempo che viviamo. I linguaggi dell’annuncio, i modi di celebrare la liturgia, le scelte pastorali presuppongono infatti e domandano una interpretazione della cultura che non sempre è agevole e sulla quale spesso si registra notevole incertezza».
Ma il mondo è davvero non cristiano?
Non è possibile dare una risposta semplice e univoca a questo interrogativo. La religione e il cristianesimo rimangono indubbiamente anche oggi parte ineliminabile della nostra cultura e della società in cui viviamo. I riti cristiani, che continuano a essere celebrati e richiesti alla Chiesa, lo dimostrano. Ma al tempo stesso non si può negare che i processi di secolarizzazione abbiano segnato in profondità la vita delle persone e delle comunità umane. Si constatano fenomeni vistosi come la perdita di un linguaggio di origine cristiana, servito per secoli a interpretare il mondo e la vita, oppure si riscontra una crescente difficoltà della Chiesa a rendersi comprensibile e plausibile come approdo della ricerca spirituale dell’umanità. Ma ancora più in profondità è possibile constatare una erosione dell’ethos condiviso, che a lungo ha custodito elementi essenziali della tradizione cristiana, per esempio nel modo di definire le relazioni familiari.
Questo che si inaugura è il suo primo anno come preside della Ftis. Quali sono i suoi auspici per i mesi a venire?
Il mio desiderio sarebbe quello che la Facoltà teologica possa essere sempre più luogo di studio approfondito nel raccoglimento dei chiostri e, al tempo stesso, spazio di incontro tra le culture umane e le persone che percorrono le strade della città. Lo studio disteso e rigoroso è infatti condizione per giungere a una interpretazione valida del presente. Ma non può mancare uno sguardo aperto all’esperienza umana nel suo complesso e lo sforzo di decifrare le forme nuove in cui essa si manifesta.
Il nuovo anno accademico segna qualche novità negli insegnamenti proposti dalla Facoltà?
Gli insegnamenti proseguono per la maggior parte secondo i moduli collaudati negli anni scorsi. Questa scelta riflette la convinzione che uno studio del cristianesimo e della Chiesa all’altezza del suo oggetto non ammette scorciatoie, ma richiede un cammino di apprendimento dei metodi di indagine e un’esplorazione della tradizione della fede in tutta la sua ampiezza. Non mancano però proposte di approfondimento sui temi di maggiore attualità. Il convegno annuale della Facoltà, che si terrà a febbraio, per esempio, metterà a tema le sfide antropologiche dell’intelligenza artificiale.