«La promozione della responsabilità laicale nella Diocesi ambrosiana», questo il tema della XIV sessione del Consiglio presbiterale diocesano riunito in assemblea il 21 e 22 ottobre scorso a Seveso alla presenza dell’arcivescovo Mario Delpini. Presidente della Commissione preparatoria è stato don Roberto Davanzo, che al termine dei lavori ha tenuto un breve intervento.
Che cosa è emerso dal dibattito?
La dimensione interessante e intrigante dell’argomento: la questione della formazione del laicato che deve riguardare l’impegno di testimonianza a prescindere dagli ambiti di vita e come i laici vengono aiutati a crescere nella corresponsabilità con i sacerdoti attraverso la partecipazione alla vita delle parrocchie. Una serie di documenti, a partire dal Concilio Vaticano II, ci ricordano della dignità che nasce dal battesimo e che abilita ogni fedele a sentirsi “pietra viva”. Poi c’è un magistero più recente, penso al cardinale Tettamanzi con la triade “comunione, collaborazione, corresponsabilità” su cui ci aveva provocato, e papa Francesco con l’enciclica Evangelii gaudium ha messo a tema la Chiesa in uscita che per essere tale ha bisogno di laici consapevoli del dono grande ricevuto con il battesimo. È una responsabilità quella di offrire la possibilità di incontrare il mistero di Gesù a un uomo o una donna che mai metteranno piede in una chiesa.
Tornando al tema della formazione, l’arcivescovo nelle prime pagine del testo La situazione è occasione parla dell’apostolato dei laici e invita chiaramente «a favorire la conoscenza dell’Azione cattolica attraverso la partecipazione alle sue attività formative». Ne avete parlato?
Sì. Un punto del documento preparatorio riguardava l’Azione cattolica come luogo che educa alla custodia della casa. Se la Chiesa deve prevedere che i suoi figli in ogni famiglia siano fuori dalla mattina alla sera per gli innumerevoli impegni che la vita riserva loro, ci vuole poi qualcuno che abbia la vocazione di custodire la casa, perché la parrocchia sia un luogo accogliente dove ritornare per essere rigenerati. Un’azione formativa possono svolgerla i Consigli pastorali parrocchiali educando alla corresponsabilità e al senso dell’intero. I consiglieri non devono tanto sostenere l’istanza del gruppo o della realtà che rappresentiamo, ma dell’intero della pastorale che spazia dai più piccoli agli anziani, dalla liturgia alla catechesi, fino alla carità. I laici sono chiamati a condividere con i presbiteri questo sguardo globale.
Che cosa impedisce o favorisce la corresponsabilità, questo lavorare tra preti e laici insieme?
Uno degli ostacoli riconosciuto e spesso dichiarato negli interventi è lo spirito individualistico che attraversa il mondo nel quale viviamo. Anche nel modo di concepire l’impegno di un laico in qualche settore della vita della Chiesa il rischio non taciuto è quello di pensare che ognuno è preoccupato del proprio pezzettino, sa tutto, è molto esperto, ma non fa niente per conoscere quello che succede in un altro gruppo. Un problema che nelle parrocchie purtroppo è molto presente è l’autoreferenzialità e l’autosufficienza dei gruppi: ognuno sta bene con le persone che conosce (catechisti, cantori, allenatori di calcio…), ma non si preoccupa di sapere che cosa succede nella stanza accanto. Ciò che favorirebbe un senso di corresponsabilità più maturo sono tutte quelle esperienze che in una parrocchia portano alla conoscenza reciproca e alla condivisione con la percezione di essere tutti dentro nello stesso progetto.
Si dice spesso che la Chiesa fatica a riconoscere i ritmi della vita familiare…
Ci sono stati diversi interventi in merito. Nel favorire la corresponsabilità noi preti non dobbiamo pensare ai laici come a un clone della nostra presenza, ma a persone coinvolte e spesso travolte dalla vita quotidiana. Non dobbiamo assumere l’atteggiamento di sfida dicendo “Avanti i laici” e “Adesso vediamo cosa siete capaci di fare” ritirandoci in buon ordine. Ci sono ruoli ben diversi tra preti e laici nella Chiesa e la fatica e abilità dei presbiteri è tener conto di ciò che i laici, nel rispetto dei loro ritmi, possono dare e valorizzarli. In questo senso un’esperienza presentata e apprezzata è quella delle “famiglie missionarie a chilometro zero” che, tornando dalla missione, decidono di condividere per alcuni anni la vita della comunità abitando in parrocchia e mantenendo i propri ritmi di lavoro e di impegno.