I servi «fidati e prudenti» che scrivono la vera storia della Chiesa, fatta «da tutti i santi noti e ignoti». La storia scritta anche da Mario Ciceri, «proprio in questa terra, dove è venuto solo per servire il Signore». Dopo la solenne celebrazione di beatificazione di sabato 30 aprile in Duomo, il beato don Mario Ciceri, a Sulbiate (dove visse il suo generoso sacerdozio per 21 anni), ha intorno a sé ancora tutta la sua gente per la Messa di ringraziamento presieduta dall’Arcivescovo nella parrocchia di Sant’Antonino Martire, inserita nella Comunità pastorale Regina degli Apostoli, che riunisce con Sulbiate Bernareggio, la frazione di Villanova e Aicurzio.
Una partecipazione corale
L’urna con i resti mortali, esposta sull’altare maggiore da sabato e che verrà posta presso l’altare laterale della Madonna sotto la sua reliquia – un frammento della falange -, l’Arcivescovo che si raccoglie in preghiera appena entrato in chiesa, un’aria di festa che si respira tra la tanta gente che si ritrova per il rito, i canti, i festoni alle case, le immagini di don Mario alle finestre e le immaginette nelle mani di ogni fedele, sono il segno di una santità viva e palpabile della quale non si fa solo memoria.
Concelebrano una quindicina di sacerdoti: alcuni nativi, come il vescovo monsignor Luigi Stucchi (originario di Brentana in Sulbiate), altri legati per ragioni di ministero o di devozione al Beato, il responsabile della Comunità pastorale don Stefano Strada con i tre sacerdoti della Cp, il vicario episcopale della V Zona monsignor Luciano Angaroni, don Cristiano Passoni, assistente ecclesiastico dell’Azione Cattolica Ambrosiana. In prima fila siedono i sindaci di Sulbiate, Aicurzio e Bernareggio, presenti altre autorità civili e militari, i membri dell’Associazione don Mario Ciceri, con il presidente Luigi Corno, e il Comitato per la Beatificazione.
In contemporanea, a Veduggio, a presiedere una celebrazione di ringraziamento altrettanto affollata è il Vicario episcopale per la Zona IV, monsignor Luca Raimondi.
Insomma, una coralità di popolo riunito per dire grazie della beatificazione e per avuto come sacerdote per tanti anni don Ciceri, strappato alla sua amatissima piccola comunità troppo presto, da un incidente le cui conseguenze sopportò per due mesi con quella esemplare virtù che fu il carattere distintivo della sua intera esistenza, iniziata l’8 settembre 1900 e conclusasi il 4 aprile 1945.
L’omelia dell’Arcivescovo
Al Vangelo di Matteo, nel capitolo 24 appena proclamato, si ispira l’Arcivescovo nella sua omelia (leggi qui il testo integrale): «Il servo fidato è quello di cui il padrone si fida. Forse non è il più intelligente, ma, chiamato a servire, semplicemente serve. Forse non è il più simpatico, il più efficiente, il più illustre. Ma è incaricato di servire e serve: lo trovi là dove deve essere. Forse non è capace di grandi imprese, di discorsi memorabili, di intuizioni originali, non si rende famoso per qualche iniziativa straordinaria. Ma gli è chiesto un servizio e lui vive così, prestando il suo servizio. Di lui si può fidare il Signore e si possono fidare coloro che il Signore ha affidato al suo servizio. Non si fa notare per originalità, non ama le stranezze e il clamore». Quasi una “fotografia” di don Ciceri, il cui impegno ebbe l’unico scopo e ricompensa di annunciare il Vangelo, come scrive Paolo nella Lettera ai Corinzi, anch’essa proposta all’assemblea nella liturgia della Parola.
«Talvolta chi l’ascolta lo ringrazia, lo apprezza, lo applaude: ma il servo non si monta la testa. Solo una cosa gli interessa, obbedire al Signore e prestare il servizio che il Signore gli ha chiesto. Talora chi lo ascolta lo critica, lo ignora, si annoia e si distrae. Ma il servo non si scoraggia», nei giorni buoni e in quelli che lo sono meno. Ci sono sere in cui chiude la giornata contento di quello che ha fatto e ci sono sere in cui deve fare un bilancio fallimentare: “Non ho combinato niente, tutto è andato storto”. Eppure chiude sempre ringraziando: “Ecco, Signore, ho potuto servire anche oggi, come tu mi hai comandato”. Non cerca riconoscimenti, non cerca guadagni, non coltiva distrazioni, non insegue le mode, non si cerca un tempo per sé, non riesce a immaginarsi altrove, non aspira a incarichi più prestigiosi, o meno faticosi, o con persone più simpatiche. Non cerca altro che di obbedire al Signore».
Sono questi i servi che il Signore «continua a cercare, e noi siamo qui per dire “Eccomi”. Una cosa sola io cerco, di prestare il servizio che mi è chiesto, di obbedire al Signore che mi ha chiamato».
A conclusione della celebrazione, dopo un momento conviviale sul sagrato con i giovani volontari e tutti i sulbiatesi, l’Arcivescovo ha visitato il museo dedicato a don Mario Ciceri, sovrastante la chiesa.