«Ingegnere, uomo d’affari, cattolico, finanziere, diplomatico, giolittiano, banchiere di banca Comit, tecnocrate internazionale, uomo del Vaticano». Bernardino Nogara fu tutto questo, in un lungo periodo di profonde trasformazioni che va dall’Italia giolittiana alle soglie del boom economico. E se il suo nome oggi, forse, dice poco ai più, la sua figura continua a rimanere un esempio di onestà, integrità, fedeltà allo Stato e al Papato, dopo che Pio XI lo scelse per amministrare i beni della Santa Sede. Incarico delicatissimo e pionieristico, assunto con coraggio da Nogara e portato avanti con intelligenza moderna e manageriale, (ma con un’anima) nei 25 anni vissuti nel palazzo del Governatorato Vaticano.
Nato nel 1870 a Bellano da una famiglia benestante di fede cattolica molto solida, ben imparentata e inserita nell’alta società milanese – dei 13 figli, 5 fratelli di Bernardino furono sacerdoti e l’unica sorella suora -, Nogara visse molte vite fino alla morte avvenuta nel 1958. Tutte quelle che sono narrate dal volume Al servizio dell’Italia e del Papa di Angelo Caleca (edito da Il Mulino), la cui presentazione si svolge presso la Biblioteca Pinacoteca Ambrosiana alla presenza del segretario di Stato, il cardinale Pietro Parolin, dell’Arcivescovo e di un parterre du roi, tra cui rappresentanti del mondo accademico, banchieri, economisti, il nunzio apostolico in Polonia Antonio Filipazzi, il Vicario episcopale per la Zona I monsignor Giuseppe Vegezzi, il Moderator Curiae monsignor Carlo Azzimonti, monsignor Giuseppe Merisi e il prefetto emerito della Biblioteca Vaticana monsignor Cesare Pasini.
I saluti istituzionali
L’apertura dei lavori è affidata al prefetto dell’Ambrosiana monsignor Marco Navoni, che ripercorre i legami tra Pio XI (prefetto della stessa Ambrosiana prima di salire al Soglio) e la famiglia Nogara. Un rapporto di amicizia tra il Pontefice e il banchiere nato proprio tra le mura dell’istituzione voluta da Federico Borromeo.
È la volta, poi, del presidente del Collegio dei Conservatori dell’Ambrosiana Lorenzo Ornaghi: «Vi sono personalità di grande rilievo che attraversano la storia di un Paese quasi in silenzio. Così fu per Nogara, che oggi chiameremmo un operatore nel sistema globale. Con questo saggio si apre la finestra su una classe dirigente cattolica italiana che si trovava a ricucire la lacerazione tra la fedeltà allo Stato e al Papa. Una classe dirigente che ebbe un ruolo decisivo che trovava il suo fondamento nel fatto di essere educata al rispetto verso gli altri che implica il rispetto per se stessi e la propria vita spirituale», evidenzia Ormaghi, dando la parola al cardinale Parolin.
L’intervento del Segretario di Stato
«Si incontra il nome di Nogara sui libri di storia, in un tale arco temporale e quantità dei luoghi a cui è legata la sua vita, che sembra che vi siano molti Bernardino Nogara. Ha sempre cercato di mantenere la discrezione e riservatezza e il libro ne ricostruisce il lato professionale e umano avendo potuto attingere all’archivio privato che consente di comprendere le motivazioni intime del suo agire», sottolinea da parte sua il porporato.
Come fu sempre per Nogara «dalla guerra di Libia e l’inizio delle trattative di pace con l’impero ottomano che fruttarono a Nogara la stima di Giolitti, agli anni Venti come dirigente di una società privata, fino a divenire gran commis della tecnocrazia economica internazionale, per essere infine chiamato, nel 1929, ad amministrare i fondi della Santa Sede», con un «profilo molto diverso dai religiosi e nobili romani che si erano occupati delle finanze del Papato, spesso appoggiandosi al Banco di Roma, mentre lui era lombardo laico, vicino alla Banca Commerciale. Per la prima volta vi fu, dentro le mura leonine, un’organizzazione finanziaria efficiente e moderna, anche con investimenti all’estero».
Poi, nella seconda guerra mondiale, quando il “banchiere del Papa” – confermato da Pio XII -«seppe salvaguardare gli investimenti e le strutture organizzative che aveva creato senza dimenticare di promuovere aiuti e mense per i bisognosi. Gestire le finanze della Santa Sede era una responsabilità professionale, ma anche ciò a cui l’aveva portato la sua fede e la sua storia personale. Nel dopoguerra divenne vicepresidente della Banca Commerciale Italiana: egli fu sempre uomo integerrimo la cui onestà non fu mai messo in dubbio. Fu ingegnere, uomo d’affari, uomo del Vaticano, servo buono e fedele (come disse alla sua morte Giovanni XXIII), con una doppia fedeltà che seppe gestire bene anche nei momenti più difficili», conclude Parolin.
«La calata dei longobardi»
Parole a cui fa eco Paolo Grandi di Intesa San Paolo: «Nogara accettò volentieri la sfida con lo spirito di fedeltà e lealtà, considerando la Comit l’unica banca su cui poter reciprocamente contare per le operazioni di alta ingegneria societaria da lui immaginate. Pio XI e Nogara ebbero la consapevolezza di poter realizzare qualcosa di grandioso con convinzione e fervore».
E se nel libro si parla di una sorta di «calata di longobardi» – come è noto che si disse, negli ambienti romani, a proposito dei collaboratori chiamati dal brianzolo Ratti -, fu una calata fruttuosa, «facendo bene il bene, con un’attitudine tutta cristiana al servizio, e non certamente l’espressione di una consorteria». Insomma, con l’orgoglio, osserva Grandi, illustrando il rapporto pluridecennale tra Nogara e Raffaele Mattioli (“anima” della Comit), «di tenere la barra dritta».
Tutte qualità che emergono anche dal breve intervento dell’autore del libro e nella testimonianza dell’ambasciatore Bernardino Osio, che parla a nome dei discendenti di Bernardino, le famiglie Nogara, Osio e Boselli: «Non poteva esservi luogo più adatto dell’Ambrosiana, per i rapporti delle nostre famiglie con questa istituzione», tanto che il famoso manoscritto Dei delitti e delle pene di Cesare Beccaria fu donato alla Biblioteca proprio da congiunte del Nogara e così pure l’Archivio di Cesare Cantù.
Infine, poche, ma incisive parole dell’Arcivescovo concludono l’incontro: «Voglio esprimere tutta la mia gratitudine e l’apprezzamento per questo saggio e questa serata. Posso solo dire che Pio XI e la “calata dei longobardi”, hanno fatto tanto bene in anni tremendi. Siamo fieri di aver contribuito alla gloria della Santa Sede».