A Betlemme, nel luogo che la tradizione indica come quello del Natale di Gesù, non c’è traccia della mangiatoia nella quale è stato adagiato il neonato. Ci si china fin quasi a terra per sfiorare e baciare la grande stella d’argento che porta incise le parole «Qui la Parola si è fatta carne da Maria».
Confesso che un modo di dire popolare mi ha aiutato a capire questa ardua parola. Quando un ragazzo e una ragazza si frequentano con assiduità, si vogliono bene, noi diciamo: «Quei due “si parlano”…». Parlarsi, in questo caso, vuol dire molto più che dire delle cose, scambiarsi informazioni, notizie; vuol dire entrare sempre più in comunione reciproca di amore. Se parlarsi è entrare in comunicazione nell’amore e nel dono di sé, Dio – che è comunicazione, che è amore – può giustamente esser detto «parola».
Dire del Figlio di Dio come Parola è un modo efficace per esprimere il segreto del Natale. Nella notte di Natale del 2006 così diceva Benedetto XVI: «Il segno di Dio è la semplicità. Il segno di Dio è il bambino. Il segno di Dio è che Egli si fa piccolo per noi… Egli viene come bambino, inerme e bisognoso del nostro aiuto. Non vuole sopraffarci con la forza. Ci toglie la paura della sua grandezza. Egli chiede il nostro amore: perciò si fa bambino. Nient’altro vuole da noi se non il nostro amore… Dio si è fatto piccolo, affinché noi potessimo comprenderlo, accoglierlo, amarlo». In quello stesso 2006, da Gerusalemme – dove allora si trovava – il cardinale Martini scriveva: «Il presepio è qualcosa di molto semplice, che tutti i bambini capiscono. Come il presepio, tutto il mistero del Natale, della nascita di Gesù a Betlemme, è estremamente semplice… e per questo non è difficile da comprendere per chi ha l’occhio della fede: la fede del bambino a cui appartiene il Regno dei cieli».
Ma torniamo a Betlemme, dove la Parola si è fatta carne. Per ogni essere umano la parola è il fragile mezzo dell’uscire da sé per andare incontro all’altro nel dialogo, nella comunicazione. Dire che Dio è Parola significa affermare il suo incontenibile desiderio di comunicare con noi. Dire che questa Parola si fa carne vuol dire affermare che tale desiderio di comunicazione si fa, nel Natale, definitiva, irrevocabile condivisione della nostra condizione umana. Il nostro è un Dio vicino. Un Dio che si è messo nella nostra condizione umana, nelle nostre gioie, così come nelle nostre sofferenze. Un Dio che soffre con noi e per noi e così ha reso gli uomini e le donne capaci di condividere la sofferenza dell’altro e di trasformarla in amore. La certezza di un Dio vicino non può non generare prossimità, apertura all’altro, dialogo. Non conosco altro modo più decisivo per riconoscere il valore dell’umano, la sua dignità e, proprio per questo, Natale è festa unanime, perché il suo linguaggio è quello dell’umanità tanto amata da Dio da compromettersi in essa irrevocabilmente. Natale è come l’alta marea che tutti, in qualche modo, raggiunge. In questo giorno la gioia è per tutti, distribuita a piene mani, senza distinzioni.
Lo scorso 13 ottobre la nave Aquarius – subito ribattezzata “Nave dei bambini” – è arrivata nel Porto di Palermo con 606 migranti: tra questi, un neonato di appena una settimana, 241 minori accompagnati e ben 178 soli o, con espressione più dura, in stato di abbandono. I Paesi europei, Paesi di antica cristianità, che chiudono le frontiere e alzano muri e barriere, hanno dimenticato l’appello evangelico a riconoscere nell’altro, soprattutto nel piccolo e nel povero, il volto stesso del Signore. Giorni duri che hanno offuscato il valore della nostra comune appartenenza alla condizione umana. Proprio il mistero del Natale può aiutarci a ritrovarla, perché Natale è incarnazione di Dio, cioè irrevocabile scelta da parte di Dio di stare dentro la nostra condizione umana. Ecco la buona notizia, ecco l’Evangelo: il Figlio di Dio si è fatto uomo nel grembo di una donna, Maria. Quel Dio che gli uomini dalla notte dei tempi cercano nelle altezze, nell’infinita distanza dall’uomo, estraneo alla nostra povertà di creature incerte e fragili, quel Dio si è fatto così vicino da stare nelle braccia di una giovane donna. Ripetiamo le parole della fede cristiana: il Figlio di Dio si è fatto uomo nel grembo di Maria. La carne dell’uomo è ormai la carne stessa di Dio.
Ma oso dire che Natale manifesta anche la fede di Dio nell’uomo, il suo affidarsi alla nostra umanità, stringendo a sé la nostra carne mortale. Per questo la nostra carne, la nostra umanità, è la carne, è l’umanità del figlio di Dio. Siano allora benedetti i gesti di quanti, con amore e competenza, tentano di sottrarre alla morte questi bambini. Siano benedetti quanti lasciano i loro Paesi e si mettono qui al servizio dei nostri anziani, dei nostri bambini, lavorando nelle nostre case, facendosi carico di lavori che noi non vogliamo più fare. Siano benedetti i gesti di tenerezza di uomini e donne che si vogliono bene e anche attraverso i loro corpi comunicano amore. Siano benedette le iniziative politiche e i gesti di solidarietà nei confronti di chi vive un Natale precario per la mancanza di lavoro. Siano benedetti tutti i passi verso la pace. E penso alla terra dove Gesù è nato e che non conosce pace tra Israele e Palestina…