«Non parlerò dei cristiani uccisi in Burkina Faso (15 morti in un attentato in chiesa a fine febbraio), dell’opposizione alla Chiesa che si batte contro le ingiustizie sociali in Nicaragua, o della mia esperienza a Cuba, dove, per quanto non ci fosse un controllo diretto, sicuramente si respirava un clima di fatica nel vivere la fede, dopo anni di ateismo di stato. Vorrei piuttosto ringraziare il Signore perché sono nato in un Paese in cui esiste la libertà religiosa, dove proclamare la propria fede non significa mettere a rischio la propria vita». Sottolinea dunque la gratitudine della fede, e allo stesso tempo lancia una provocazione, don Marco Pavan, sacerdote ambrosiano fidei donum a Cuba fino allo scorso settembre, che porterà la propria testimonianza nella Veglia per i missionari martiri che si celebrerà mercoledì 20 marzo a Bollate e sarà presieduta dall’Arcivescovo, monsignor Delpini (l’appuntamento è alle 20.45 presso l’oratorio San Giovanni Bosco, via Archimede 10 – locandina – libretto della celebrazione di Bollate – testo per la Veglia zonale in word). «Noi possiamo imparare a ringraziare per la libertà che abbiamo – esorta don Pavan -. Non ci è chiesto di andare contro a forme esplicite di opposizione: la nostra forma di testimonianza sarà, piuttosto, essere coerenti con il Vangelo che annunciamo».
È proprio questo, del resto, l’esempio a cui la Chiesa invita a guardare, ricordando i suoi martiri di oggi (20 le persone uccise nel 2023): sono considerati missionari e “martiri”, nel senso proprio di testimoni, tutti i battezzati impegnati nella vita della Chiesa morti in modo violento, anche se la loro uccisione non è avvenuta direttamente «in odio alla fede», ma, per esempio, come conseguenza di un atto di violenza. Perché, sottolinea don Pavan in piena sintonia con il titolo della veglia di quest’anno («Un cuore che arde»), «annunciare il Vangelo significa comunque esporsi, mettersi dalla parte di chi aiuta».
«A Cuba gettato un seme»
Ripercorrendo i propri anni a Cuba, nella città e nei sobborghi di Palma Soriano, don Marco racconta di una fede fatta di relazioni, più che di organizzazione e di appuntamenti, di «una Chiesa che è piccolo gregge e seme gettato». E di una testimonianza che parte dallo stare in mezzo alla gente, in un contesto di estrema difficoltà economica che spinge a emigrare: nel 2023 hanno lasciato l’isola oltre 500 mila persone, il 5% dell’intera popolazione. «In Italia siamo abituati a essere un luogo di immigrazione – sottolinea -. Là ho conosciuto invece un luogo di emigrazione, dove le famiglie si disgregano perché si parte per cercare un futuro dignitoso: nella nostra comunità, in un anno, abbiamo “perso” metà delle catechiste, molti giovani, il diacono permanente. È una ferita che la comunità porta con sé».
Pensieri che si trasformeranno certamente in preghiera nel micro-pellegrinaggio che aprirà la veglia, percorrendo in silenzio il breve tratto tra l’oratorio e la chiesa di San Bernardo, dove inizierà la celebrazione. Al termine, quel «seme gettato» da don Pavan prenderà corpo in un granello di senape, un simbolico mandato che sarà lasciato a tutti i partecipanti.