Ognuno con la sua personalità, i suoi pregi straordinari, i suoi limiti. Vescovi che hanno operato scelte, talora profetiche, talora timide, discutibili come ogni cosa della storia, ma tutte definite da un segno distintivo: l’affetto per la gente, la terra e la Chiesa ambrosiane amate, benedette da Dio, care e cui trasmettere non solo il Vangelo, ma la vita stessa, come scrive Paolo nella Lettera ai Tessalonicesi, risuonata tra le navate come II Lettura.
L’Arcivescovo, che indossa la casula, l’anello e la croce pettorale del cardinale Schuster, presiede in Duomo la Celebrazione eucaristica di commemorazione degli Arcivescovi dei nostri tempi, nel giorno della memoria liturgica del beato Alfredo Ildefonso Schuster, salito alla Casa Padre alle prime ore del 30 agosto 1954 quando si trovava presso il Seminario di Venegono Inferiore.
Da alcuni brani del testamento di questo amato Pastore (letto dal Moderator Curiae, monsignor Bruno Marinoni e nel quale si evidenzia il ruolo fondante del Vescovo nel custodire e guidare il gregge a lui affidato), si avvia la Messa propria del Beato che, tuttavia, per la prima volta, ricorda anche i Pastori del secolo scorso, Carlo Maria Martini – scomparso il 31 agosto 2012 – e i cardinali Giovanni Colombo, Eugenio Tosi e Dionigi Tettamanzi.
Concelebrano il Rito i membri del Consiglio Episcopale Milanese, con i vescovi Mascheroni, De Scalzi, Busti, Agnesi, Merisi, Martinelli, i Vicari di Zona e di Settore, il presidente della Fondazione Carlo Maria Martini e il parroco di “San Fedele” – i Padri gesuiti Carlo Casalone e Maurizio Teani -, decine di sacerdoti.
Nelle prime file partecipano all’Eucaristia, i nipoti e pronipoti del cardinale Martini, la vicesindaco di Milano, Anna Scavuzzo, con la fascia del Primo cittadino, autorità civili e militari, tanta gente.
L’omelia
È, infatti, una memoria grata e condivisa quella che si celebra in Cattedrale, come dice, fin delle prime espressioni della sua omelia, l’Arcivescovo che pur richiamando la Solennità di Sant’Anàtalo e tutti i Santi Vescovi Milanesi, fissata al 25 settembre, sottolinea: «È giusto che ricordiamo i Vescovi che abbiamo conosciuto, di cui ricordiamo i volti, il tratto, la parola, le insistenze dell’azione pastorale. Vogliamo ringraziarli tutti. In particolare, sono grato al cardinale Martini, alla sua famiglia e alla Fondazione che ne tengono viva la memoria così come lo sono verso chi ha partecipato alla Celebrazione per il primo anniversario della morte del cardinale Tettamanzi (il 12 agosto scorso sempre in Duomo).
Insomma, Vescovi diversi tra loro che si trovarono ad attraversare epoche storiche e culturali differenti, dando volto a tempi di Chiesa altrettanto complessi e diversificati.
Allora perché ricordarli insieme? Per quella che Delpini definisce «una buona ragione».
«Perché hanno in comune l’essenziale, hanno da dire una parola concorde, hanno vissuto il loro Ministero con un sentimento comune e possono rivolgersi a noi, alla città, con una voce unanime dicendo: “Milano, quanto sei stata amata. Chiesa ambrosiana, quanto sei stata amata. Gente di questa terra, quanto sei stata amata”».
D’altra parte, lo stesso vescovo Mario da un anno sperimenta questo generoso e continuo servizio e, forse, parla anche a se stesso quando nota: «Non si sa bene che cosa capiti quando un Vescovo arriva nella diocesi di Milano, che provenga da altrove o che sia cresciuto in questa terra. Quello che è evidente è che cresce in lui un affetto, una decisione di dedicazione, un senso di responsabilità, una visione della Chiesa e della società che convince senza risparmio, che rende possibile una lungimiranza sorprendente, che induce a non far più conto di sé, di quello che è congeniale, di quello che sta a cuore, della prudenza nel curare la propria salute. I Vescovi di Milano, quando assumono questo incarico, diventano liberi, disinteressati, generosi fino al limite delle proprie forze».
Appunto per dire alla gente tutto il bene che le si vuole, fino al sacrificio, perché merita stima «questa gente seria, generosa, operosa, capace di dire le parole giuste e di fare silenzio, che diffida della retorica e ama le cose ben fatte».
Gente amata che, tuttavia, corre sempre il pericolo – ben avvertito dai Vescovi – «di perdere l’anima, rischiando che l’operosità diventi frenesia, l’efficienza utilitarismo, la concretezza materialismo, l’apertura confusione».
Da qui, un’azione della Chiesa che è in Milano rivolta a tutti, capace di raggiungere, ovunque e sempre, con l’opera straordinaria dei preti ambrosiani, la disponibilità delle sue strutture, l’attenzione ai bisogni in ogni centro e in ogni periferia: «Gente di tutte le razze, le fedi, di tutte le idee: i tuoi Vescovi ti hanno amata e non hanno risparmiato fatiche, insistenze, pazienza e fermezza per incoraggiare nei momenti tragici della guerra, del terrorismo, della crisi economica, della contestazione. Non hanno risparmiato parole e gesti simbolici, eventi e Celebrazioni per sostenere la tua speranza, anche nei momenti di scoraggiamento e di difficoltà. L’amore dei Vescovi si è espressa nel raggiungere ogni quartiere, nel rivolgere una parola di fraterna vicinanza a tutti i battezzati, a chi frequenta la Chiesa e a chi non lo fa più».
Un amore – questo – non “buonista” e vago, sentimentale o, peggio, retorico, ma vero, perché portato nel nome di Dio e, quindi, da Vescovi che «non sono stati politici, né affaristi, né personaggi preoccupati di un consenso».
La consegna riguarda ciascuno e l’appello finale suona come un monito. «Noi cristiani di questo tempo sentiamo la responsabilità di corrispondere a questa stima e che la risposta a tale amore deve essere la generosità di opere e la lungimiranza di pensieri».
«Terra tanto amata, non dimenticarti di Dio. Gente tanto amata, non perdere la speranza, impara da chi ti ha amato a guardare oltre gli affari e le scadenze, per avere stima di te stessa e conservare la persuasione che non siamo condannati a morte, ma chiamati alla vita eterna. Siamo persuasi di essere attesi nella comunione dei Santi».
Infine, la processione dei Concelebranti, la preghiera sulle tombe del cardinale Martini e dei cardinali Tosi, Colombo e Tettamanzi – asperse dall’Arcivescovo l’acqua santa – l’incensazione all’altare che conserva le spoglie del beato Schuster e la benedizione conclusiva.