La domanda che tutti condividiamo, la meta alla quale tutti tendiamo, qualsiasi siano le strade che si percorrano, le lingue che si parlino. Insomma, l’interrogativo che segna ogni vita, «Dov’è la gioia? Dove si va per il paese della felicità? Che cosa si deve fare per essere contenti?». E chi, la gioia vera la vive già ogni giorno dimorando nel Signore e suggerendo, così, che è possibile per ciascuno sperimentarla. L’Ordinazione episcopale di monsignor Giovanni Luca Raimondi. Vescovo titolare di Feradi Maggiore e di monsignor Giuseppe Natale Vegezzi, vescovo titolare di Torri della Concordia – in un Duomo dove vengono rigorosamente rispettate le misure di distanziamento, ma che è comunque pieno di gioia-, è quasi l’immagine viva di quanto l’Arcivescovo, dice nella sua riflessione.
È lui che conferisce l’Ordinazione avendo accanto, come vescovi conconsacranti, monsignor Erminio De Scalzi e monsignor Luigi Stucchi, ausiliari emeriti di Milano.
Assiste il cardinale Francesco Coccopalmerio – il cardinale Angelo Scola ha inviato un messaggio -; 13 i Vescovi e i 150 i sacerdoti che concelebrano il Rito, presenti i parenti dei Consacrandi, le autorità, tra cui 7 sindaci – l’assessore Marco Granelli porta la fascia del Primo cittadino di Milano -, in rappresentanza di paesi e città di origine di monsignor Raimondi e monsignor Vegezzi e di altre realtà dove hanno esercitato il loro Ministero sacerdotale e l’incarico di Vicari di Zona, rispettivamente la IV-Rho e la II-Varese (per quest’ultima, tra le navate, siedono il prefetto di Varese e autorità militari). Dalla basilica di Santo Stefano Maggiore, un centinaio di fedeli che non hanno potuto accedere alla Cattedrale per il numero contingentato, seguono la Messa con il vicario generale, monsignor Franco Agnesi.
Monsignor Patrizio Garascia e don Angelo Viganò, per il vescovo Luca; don Franco Balzarini e don Claudio Maria Colombo per il vescovo Giuseppe, accompagnano gli eletti leggendo la Lettera apostolica per la nomina episcopale di ciascuno dei due – ne vengono mostrate le Bolle originali -, datate entrambe 30 aprile 2020.
L’omelia
L’omelia dell’Arcivescovo si avvia proprio dal grande interrogativo su dove si possa, appunto, trovare la gioia. La domanda delle domande che pure ha risposte molto diverse, «guide affidabili e compagnie insidiose e, talvolta, inganni». Come quelli di chi dice che la gioia «è nell’attimo fuggente e, per questo, occorre afferrare ogni cosa, approfittare di ogni occasione per accontentare ogni capriccio, godere di ogni piacere».
Una gioia falsa, eppure «i figli degli uomini sono disposti a crederci e perciò, talora, sono così aggressivi, possessivi, insaziabili. Ogni volta scoprono di essere stati ingannati e ogni volta si lasciano ingannare dalla promessa facile, dall’offerta di una gioia a portata di mano e di portafoglio».
Così come altrettanto falsa è la promessa di una gioia che sta «nel superare ogni limite, nell’impadronirsi di ogni frutto proibito, nel diventare come Dio, criterio e signore di ogni cosa».
Ma anche in questo caso, «i figli degli uomini si lasciano affascinare e hanno l’impressione che il frutto proibito sia bello e desiderabile. Si arrischiano nell’impresa, aggrediscono il limite con arroganza e senza scrupoli, abbattono gli ostacoli. Ma quando l’entusiasmo svanisce, si accorgono di essere nudi, fragili, mortali».
Altra è, naturalmente, la gioia che non delude perché radicata nella speranza affidabile, nel Signore.
«È per questo che noi siamo grati ai nostri fratelli don Giuseppe e don Luca – scandisce l’Arcivescovo – , perché ci offrono la parola affidabile e vera e fanno risuonare l’invito di Paolo che entrambi hanno scelto come loro motto episcopale: “Gaudete in domino semper. Siate sempre lieti nel Signore”. Don Giuseppe e don Luca definiscono pertanto il Ministero del vescovo come un servizio alla gioia dei fratelli e delle sorelle. Per questo sono ordinati, per indicare a tutti la via della gioia. Dovranno fare e dire molte cose, avranno responsabilità da esercitare, visiteranno comunità, incontreranno persone, staranno vicino ai preti e ai diaconi, saranno attenti ai più poveri e ai più soli, ma in sostanza vogliono condividere la risposta alla grande domanda: “Dov’è la gioia?”. Con il loro Ministero, con quello che già fanno, incoraggiano tutti a cercare l’unica risposta che non delude: la gioia è nel Signore».
Un invito a condividere l’esperienza di dimorare nel Signore, «come l’aprirsi di un cammino pieno di fascino, e di luce», che indica «una relazione più che una condizione acquisita», una storia di amore e di perdono e «non una collocazione».
«”Nel Signore” indica quell’aderire alla roccia che dà solidità alla casa. La casa costruita sulla roccia non teme le tempeste. Perciò l’apostolo può scrivere e i vescovi possono ricordare la parola che oggi sembra proibita: “sempre”. Che rimedio possiamo offrire al malumore, all’inquietudine, alla tristezza? Don Giuseppe e don Luca ci propongono la raccomandazione di Paolo: rimanete nel Signore, imparate a pregare».
Poi, gli impegni degli eletti, con il “Sì, lo voglio”, pronunciato, per un’antica tradizione dei Padri, dagli ordinandi Vescovi interrogati sul proposito di custodire la fede e di esercitare il loro Ministero; Le Litanie dei Santi in ginocchio, con i Neovescovi sdraiati a terra in altare maggiore; l’imposizione delle mani e la preghiera di ordinazione, i Riti esplicativi, con l’applauso dell’assemblea, a conclusione dell’insediamento e dell’abraccio di pace con l’Arcivescovo e i vescovi conconsacranti.
E alla fine, la benedizione portata dai Neoconsacrati, con gli altri Vescovi, ai fedeli percorrendo la navata centrale, e ai sacerdoti, riuniti nel transetto di San Giovanni Bono.
Non mancano, da ultimo, i due brevi saluti di ringraziamento.
«A me piace definire lo Spirito santo come la fantasia di Dio. Questa volta con me ha proprio esagerato. Grazie a papa Francesco: accetto la sua sfida per una Chiesa in uscita; grazie all’arcivescovo Mario per la sua fiducia e amicizia: per imparare a fare il vescovo, non potevo avere scuola migliore del suo Magistero e della sua generosa dedizione pastorale; grazie al cardinale Scola che mi ha ribadito che, oltre la Chiesa, il campo è il mondo, al quale andare incontro forti del pensiero di Cristo. E, poi, grazie al cardinale Carlo Maria Martini che mi ha insegnato l’amore per la Parola di Dio e il legame forte con la Chiesa reale; grazie al cardinale Dionigi Tettamanzi che mi ha ricordato che i diritti dei poveri, non sono poveri diritti», dice il vescovo Luca che cita anche il cardinale Renato, recentemente scomparso, di cui indossa l’anello episcopale. Un ringraziamento allargato anche al cardinale Coccopalmerio, ai confratelli nel sacerdozio, ai propri familiari e a tutte le persone e realtà incontrate in questi anni, fino all’impegno attuale come Vicario della zona di Rho. Il pensiero va anche alla Diocesi di cui è titolare in Tunisia e al momento della sua nomina nel periodo della pandemia: vescovo dell’accoglienza e della emergenza, si potrebbe dire.
«Dite un’Ave Maria per me, alla mia bela Madunina, per non farla piangere e, se proprio devo farla piangere, che siano lacrime di gioia».
Parole cui fa eco il vescovo Giuseppe, che, pure ringrazia chi gli è stato vicino: dalla mamma agli altri parenti, dai preti alle Comunità dove ha svolto il suo Ministero pastorale – come oblato vicario, come parrocco a Milano e Rho – fino a oggi, quale vicario della Zona di Varese. «Quello che è successo è un dono e quando si ricevono i doni, si ringrazia. Grazie a papa Francesco, all’arcivescovo Mario, ai vescovi, a tutte le persone che mi hanno fatto crescere nella vita sacerdotale e alla Comunità di Santo Stefano in Nerviano che mi ha generato alla fede. Dall’oratorio è iniziato il mio desiderio di servire il Signore», spiega monsignor Vegezzi, con un filo di emozione nella voce, quando ricorda che proprio don Franco Balzarini che lo ha accompagnato nell’ordinazione episcopale, lo aveva accompagnato, con la sua 500 blu, il 1 ottobre del 1974, in Seminario.