Riproponiamo una riflessione di Aldo Maria Valli, vaticanista Rai, sul rapporto tra il cardinale Tettamanzi e i giornalisti e gli operatori della comunicazione
Ricordo bene l’incontro del 2006, al Circolo della stampa di Milano. Nella ricorrenza di San Francesco di Sales, patrono dei giornalisti, il cardinale Tettamanzi si confronta con gli operatori dell’informazione. Lo fa tutti gli anni, è tradizione, ma quel faccia a faccia mi è rimasto più di altri nella memoria perché quella volta il Cardinale espresse un giudizio netto sul mezzo che è il mio ambito di lavoro quotidiano. Disse: «I telegiornali non mi piacciono tanto», spesso sono una «fiera delle parole e delle opinioni» più che una rassegna di fatti. E poi insufficiente è l’attenzione agli esteri, proprio mentre avremmo bisogno di essere aiutati a diventare cittadini del mondo.
Scrittore lui stesso, da sempre attento ai temi della comunicazione, Tettamanzi ha dato un’impronta molto personale al suo rapporto con i giornalisti. Non gli è bastato lanciare messaggi o tenere lezioni. Ha voluto conoscerli, parlare con loro, scoprirne passioni e preoccupazioni. Una volta ha detto: «Solo dove l’uomo è vero vi sarà notizia buona». Prima ancora che nelle tecniche giornalistiche il problema sta, come sempre, nell’umanità delle persone. «Vogliamo un giornalismo serio, vero, umano e umanizzante. I giornalisti devono essere uomini veri che sappiano amare gli altri uomini».
Parole che mi hanno fatto tornare alla mente quelle di un grande inviato, Riszard Kapuscinski, secondo il quale «i cattivi non possono essere buoni giornalisti, perché solo l’uomo buono cerca di comprendere gli altri». Ecco, per come la vedo io, Tettamanzi più che al giornalismo ha dedicato attenzione ai giornalisti. E a ciascuno di loro, in continuità con il cardinale Martini, ha ricordato che fare informazione è prima di tutto questione morale.
Due le parole dalle quali lasciarsi guidare: servizio e verità. Essere giornalista vuol dire mettersi al servizio degli altri, specialmente dei più svantaggiati, di coloro che hanno mezzi meno adeguati per conoscere e interpretare la realtà. E mettersi al servizio vuol dire avere passione per la verità. Una passione che non si può nutrire se non si è interiormente umili. Come si può rendere un buon servizio alla verità se ci si lascia prendere «dall’ansia spasmodica di dare la notizia, di darla per primi, dello scoop, di omologare tutto»? Servire gli altri significa cercare di offrire a ciascuno strumenti di comprensione del mondo. Non bisogna sostituirsi agli altri, ma accompagnarli. Fondamentale è la tensione etica. Il giornalismo «prima che una professione è una vera vocazione, un mettere a disposizione se stessi per il bene degli altri».
Già presidente del consiglio di amministrazione di Avvenire, Tettamanzi conosce anche i nuovi strumenti della comunicazione. Nel 2009 ha dato il via al nuovo portale diocesano (occasione per ricordare che la tecnologia è al servizio dell’uomo e non viceversa) e un anno prima ha utilizzato Youtube per proporre sul web le catechesi quaresimali, trasmesse anche da Telenova e Radio Marconi. I mezzi cambiano, le possibilità crescono. Uguale resta il monito di fondo: il giornalista ricordi, il suo è autentico ministerium.