Con il convegno delle Caritas decanali è iniziato il nuovo anno pastorale. Questa volta l’incontro, anziché in presenza, si è tenuto sul web lo scorso 12 settembre. Una modalità inedita. «È una delle tante sfide che ci impone questo tempo di pandemia. Ma direi che è una sfida che abbiamo brillantemente superato – spiega Luciano Gualzetti, direttore di Caritas Ambrosiana -. Le due relazioni di fra Luca Fallica e del professor Ivo Lizzola sono state ascoltate via web nei giorni precedenti. Nel corso dell’incontro entrambi hanno ripreso la riflessione partendo dalla testimonianza di due responsabili decanali e reagendo alle domande che gli operatori avevano condiviso nei giorni precedenti. La modalità è piaciuta. Oltre 400 persone hanno seguito l’incontro in diretta, più di 1200 hanno visto i video. L’incontro è stato registrato. Quindi potrà essere riproposto negli incontri delle Caritas parrocchiali o di coordinamento decanali per proseguire nella riflessione nei prossimi mesi».
Come hanno vissuto gli operatori della Caritas questo periodo?
Molti si sono sentiti disorientati e impotenti. Hanno sentito il peso del limite: non si poteva arrivare sempre e ovunque c’era bisogno. Altri hanno sentito forte l’ingiustizia, perché il virus ha colpito indiscriminatamente, ma le conseguenze sono state più forti proprio per i più deboli. Ma sulle difficoltà è prevalsa la voglia di darsi da fare, di sentirsi utili agli altri.
C’è una lezione che si può trarre da questa esperienza proprio nel modo di concepire il proprio ruolo di operatori?
Direi almeno tre cose. L’importanza del confronto: è una esigenza e anche una necessità confrontarsi all’interno della comunità, con i sacerdoti, con gli altri operatori della carità, gli altri operatori pastorali per riflettere insieme anzitutto su ciò che accade e per discernere insieme il da farsi. Poi il saper condividere: abbiamo imparato che è possibile prendersi cura l’uno dell’altro anche a distanza. Infine la necessità di una maggiore unificazione e integrazione tra liturgia, catechesi e carità. La liturgia è validata dalla carità, ma anche la carità, se è autentica, genera liturgia, cioè rimanda alla dimensione sacramentale dell’incontro con Cristo (nel povero) che si dona, genera legami e vita nuova.
Di che cosa hanno bisogno gli operatori Caritas per affrontare i prossimi mesi?
Dobbiamo imparare a stare nell’incertezza con speranza: non pretendere di avere risposte per tutto. Non volere risolvere le polarità, cercare il punto di equilibrio, ma stare in tensione: tra vita e fede, tra carità e giustizia, tra verità e amore, tra timore e misericordia.
Quali sono le questioni aperte su cui lavorare?
Ce ne sono molte, ma alcune mi paiono prioritarie. Innanzitutto il passaggio generazionale: le tante disponibilità di giovani rivelatesi nell’emergenza rischiano di andare disperse, se non riusciremo a riconoscere le loro responsabilità e a valorizzare le loro competenze. C’è poi il tema della difficoltà di rendere visibili e dare continuità alle pur tante esperienze di prossimità e solidarietà che si sono spontaneamente attivate. È una questione decisiva, perché non si tratta soltanto di diffondere buone prassi, ma di dare testimonianza che prendersi cura dell’altro non è un gesto straordinario in una situazione di emergenza, ma l’ordinarietà della vita.
Come andare avanti?
Dobbiamo valorizzare proprio l’esperienza che abbiamo vissuto. La lontananza ha fatto crescere il desiderio di vicinanza, di relazioni più assidue, frequenti. Questo periodo che stiamo vivendo è un tempo “unico” verso un approdo che ancora non riusciamo a vedere. Possiamo imparare a ridare senso ai gesti quotidiani condividendo le contraddizioni, le ambivalenze della vita sperimentare. Possiamo sforzarci di trasformare davvero le nostre Caritas, i nostri servizi e le nostre comunità in “oasi di fraternità” e nuove “arche di Noè” dove ritessere le relazioni.