Nell’ultimo Rapporto sulle povertà abbiamo stimato che nei tre mesi del primo lockdown sono state circa 9 mila le famiglie che si sono rivolte alla Caritas Ambrosiana per chiedere aiuto.
Tra gli impoveriti dal Covid c’era chi, dopo la crisi economica del decennio precedente, aveva trovato rifugio nell’economia informale, chi, pur avendo un lavoro, percepiva stipendi appena sufficienti per stare sopra la linea di galleggiamento e anche appartenenti alla cosiddetta classe media: liberi professionisti, piccoli artigiani, negozianti, che avevano dovuto interrompere le proprie attività. Quello che è accaduto nella primavera dello scorso anno ha mostrato quanto velocemente una quota non piccola di cittadini può essere sospinta ai margini quando la «città che non si ferma» – come una certa retorica dipinge Milano – è costretta a una breve, seppure brusca e del tutto eccezionale, battuta di arresto.
Per trasformare le crisi anche in opportunità, mentre rivediamo il sistema di aiuti pubblici – a partire degli ammortizzatori sociali che hanno mostrato di essere tanto clamorosamente lenti e largamente insufficienti – dobbiamo anche pensare a come consolidare le reti di prossimità locali, che invece hanno dato prova di una grande e, per certi versi persino sorprendente, capacità di resilienza. Se il primo compito spetta, per molti aspetti, al governo nazionale che ha annunciato, per altro, di metterci mano; il secondo è lecito chiederlo al Sindaco di una città.
Proprio quei nodi capillarmente presenti nei tanti quartieri che compongono Milano hanno permesso di intercettare chi si trovava in difficoltà, distribuire aiuti, intervenire in maniera agile e tempestiva. Quei centri sono anche, e lo possono essere ancora di più, l’anello di congiunzione tra l’intervento del pubblico e quello del privato sociale, che con la moda, il design e la finanza rappresenta una delle dimensioni costitutive dell’identità milanese.
Da molto prima del Covid assistiamo allo scivolamento verso il basso dei più fragili: i penultimi vanno a ingrossare le fila degli ultimi, pezzi di middle class precipitano nella povertà. Raddrizzare questo piano inclinato per arrestare la slavina dell’esclusione sociale richiede interventi che trascendono la dimensione locale. Ma creare un sistema di welfare locale inclusivo e efficiente, integrando pubblico e privato, è il lavoro che ci auguriamo compia chi sarà chiamato a governare la città dopo le prossime elezioni.
La Milano delle eccellenze deve ripartire dagli ultimi, se non vuole escludere nessuno dallo sviluppo e dalla crescita che tenacemente persegue. È questa la sfida che attende la prossima amministrazione: produrre un benessere e una ricchezza meno fragili, ridistribuire in maniera intelligente ed equa le risorse che la città crea e che è capace di attrarre per il suo indubbio prestigio.