La ripresa c’è, ma non per tutti. È una delle più drammatiche considerazioni che emergono dalla lettura dei dati del Rapporto sulle povertà presentato dall’Osservatorio della Caritas Ambrosiana mercoledì scorso. Dall’indagine emerge infatti che il 41% delle persone impoveritesi nel corso del 2020 a causa del Covid sono tornate a chiedere aiuto nel 2021. Quindi 4 nuovi poveri su 10 non hanno ancora riagganciato la ripresa e rimangono intrappolati nella povertà. Un dato più alto rispetto alla media che si registra nel Paese, dove a rimanere intrappolati in una condizione di grave disagio economico sono 3 impoveriti su 10. Ne parliamo con il direttore di Caritas Ambrosiana Luciano Gualzetti.
Possiamo dire che esiste una sindrome da long Covid non solo sanitaria, ma anche sociale?
Lo vedremo nei prossimi mesi. Senza dubbio possiamo dire che la locomotiva del Paese si è rimessa a correre, ma qualcuno ha perso il treno.
Chi sono le persone rimaste a terra?
I più deboli. Ma anche tanti lavoratori. Per esempio i precari che sono stati lasciati a casa durante il lockdown e non sono riusciti a ritrovare una nuova collocazione alla ripresa. Insieme a loro chi svolge quelle mansioni poco qualificate e a basso reddito nei settori più colpiti dalle misure di contenimento del contagio: camerieri negli alberghi o nei ristoranti sono ritornati a lavorare, ma per meno ore, e, in alcuni casi con retribuzioni ancora inferiori. Poiché ai costi della vita si aggiungono anche i debiti che hanno contratto nei mesi scorsi per stare a galla, ora non ce la fanno a ripartire.
Un altro dato drammatico deriva dal monitoraggio sul Reddito di cittadinanza: nella diocesi di Milano quasi la metà dei poveri aiutati da Caritas Ambrosiana (il 48,7%) non ne ha beneficiato. Quella misura è stata molto contestata. Ha ragione chi vorrebbe cancellarla?
Questo periodo di crisi è stato anche il banco di prova del Reddito di cittadinanza, introdotto proprio l’anno prima della pandemia. Caritas Italiana ha condotto un monitoraggio nazionale su questo strumento, da cui sono emersi pregi e limiti. La nostra indagine conferma che il reddito non va sempre a chi dovrebbe riceverlo. Ma constatare questo non significa affermare che vada abolito, come qualcuno strumentalmente vorrebbe farci dire. A costoro vorrei rammentare che la Caritas Ambrosiana è stato tra i primi soggetti a chiedere l’introduzione anche nel nostro Paese di uno strumento universalistico di contrasto alla povertà. La pandemia è stato un eccezionale stress test per questo strumento. Ora correggiamo quello che non ha funzionato e andiamo avanti.
In che modo Caritas Ambrosiana pensa di accompagnare le persone che chiedono aiuto fuori da questa emergenza?
La via maestra per l’emancipazione dal bisogno è il lavoro. Per questa ragione potenzieremo gli strumenti che già abbiamo sperimentato e che si sono dimostrati efficaci come il Fondo Diamo Lavoro, attraverso il quale vengono finanziati tirocini formativi. Ne abbiamo già attivati parecchi e un numero significativo si è concluso con l’assunzione. Inoltre, anche grazie alla collaborazione di partner che abbiamo trovato, come il Politecnico di Milano, cercheremo di aiutare chi ha difficoltà a inserirsi nel mercato del lavoro ad acquisire quelle competenze digitali che per molte mansioni sono diventate indispensabili. Daremo poi maggiore impulso alla formazione dei volontari dei nostri centri di ascolto affinché conoscano meglio le misure pubbliche di aiuto. A questo riguardo abbiamo avviato una collaborazione con Inps per l’orientamento sugli strumenti previsti dallo Stato. E poi continueremo la battaglia per i diritti sociali che non sono un orpello che si concede solo quando ce lo si può permettere. Dal Concilio Vaticano II c’è un principio che accompagna la Chiesa e, quindi, la Caritas: non dare ai poveri per carità quello che spetta loro per giustizia. È una frase che ci dobbiamo ripetere come un mantra perché non possiamo dimenticarla.