Da Il Segno di giugno
Nel 2007, nella Zona di Varese, don Silvano Caccia – sacerdote ambrosiano responsabile dell’Ufficio diocesano per la famiglia, nonché consigliere spirituale del movimento di spiritualità coniugale Équipes Notre-Dame – ebbe un’intuizione: iniziare un lavoro di approfondimento che coinvolgesse coppie separate, sacerdoti e religiose. Fu quello il principio dei Gruppi Acor della Diocesi di Milano: un’idea nata da un discorso del cardinale Carlo Maria Martini sui separati e poi dalla lettera Il Signore è vicino a quanti hanno il cuore ferito del cardinale Dionigi Tettamanzi, testo fondamentale per la pastorale dedicata ai separati, divorziati e alle nuove unioni.
Stiamo parlando di persone che hanno vissuto – o vivono – una sofferenza da diversi punti di vista: spirituale, umana e magari anche ecclesiale. Ma che spazio c’è per loro nella Chiesa? Com’è cambiata la percezione all’interno delle parrocchie?
La copertina de Il Segno di giugno approfondisce, con numerose testimonianze, la proposta offerta dai Gruppi Acor. Il percorso è strutturato in due fasi: una di “accoglienza” biennale, composta da sedici incontri per chi vive una separazione, e una di “incontro nella fede”, gruppi di preghiera con cadenza mensile. I gruppi attivi nel percorso accoglienza sono 7 – cinque a Milano, uno in Zona pastorale VII (Sesto San Giovanni) e uno in partenza su Varese-Gallarate -, più un altro che ripartirà a Monza: attualmente sono frequentati da circa 80 persone. Si tratta di una proposta che richiede una preparazione e per questo c’è sempre un mediatore professionista – di solito un counselor o uno psicologo – che accompagna il gruppo, mentre la parte spirituale è affidata a un religioso e a un laico.
Gli spazi di “incontro nella fede” sono invece un’iniziativa decisamente spirituale, con al centro la Parola di Dio. È l’iniziativa con il maggior numero di gruppi attivi, che vanno dalle 5 alle 25 persone, per un totale di circa 300 partecipanti.
Tre anni fa l’arcivescovo Delpini ha anche proposto un corso di formazione per 300 persone tra preti e laici, il cui effetto pratico ha riguardato la percezione: i separati non erano “qualcosa di incomprensibile” da tenere lontano, ma individui che erano – o potevano tornare a essere – attivi nella Chiesa. Nei laboratori i partecipanti hanno scoperto la loro vita, la sofferenza e tanta fede. Molti fruitori hanno poi deciso di continuare a essere parte attiva nei gruppi, per restituire quanto hanno ricevuto.
È stato così per Lucia Carabelli, fiscalista ed esperta in marketing, che ha iniziato il suo percorso in Acor 14 anni fa e che ha progettato per i gruppi il “percorso accoglienza” con una parola d’ordine: accompagnamento. «Oggi tutte le proposte pastorali – racconta – non possono più limitarsi né alle testimonianze, né alle catechesi in cui vengono a dirti che cosa devi fare: serve stare a fianco delle persone come amici, creando occasioni di convivialità e di condivisione. Anche laddove c’è il gruppo di preghiera vanno create relazioni, perché è dentro la relazione che uno cresce. Ma la relazione la devi costruire, è un investimento di tempo, significa fare cose insieme ed esserci sia nel bene, sia nel male». Continua Carabelli: «Cerchiamo di riportare nella Chiesa la consapevolezza che i separati non sono un problema, ma una risorsa, anche per la pastorale familiare. Bisogna far passare i separati da persone accudite a soggetti di pastorale, aiutandoli a dare un senso alla loro separazione e a riprendere in mano la propria vita».