«Ho desiderato questo momento prima della Celebrazione della Messa (per la V domenica dell’Avvento ambrosiano) perché l’Eucaristia ci permette quella comunione dei Santi che attraversa il tempo creando, quindi, un legame che la morte – nemmeno la più tragica – può spezzare».
Le prime parole che l’Arcivescovo rivolge alla quarantina di parenti delle vittime della strage di piazza Fontana, già basterebbero, da sole, a dare il senso di un incontro atteso e del clima spirituale ed umano nel quale si svolge, presso la Cappella Iemale nel cuore della Cattedrale.
Tra i membri dell’Associazione che riunisce i familiari di chi perse la vita quel 12 dicembre di 50 anni fa nella Banca Nazionale dell’Agricoltura – in prima fila siede il presidente Carlo Arnoldi -, ci sono intere famiglie, anche qualche bimbo e i giovani, proprio a significare una memoria che non finisce. Prima del vescovo Mario, che saluta ad uno ad uno i presenti così come fa anche alla fine, intrattenendosi con le famiglie, prende brevemente la parola Cesare Grampa, presidente onorario dell’Associazione Centro Comunitario Puecher, che con Roberto Cenati, presidente della Sezione Milano dell’Anpi – pure presente in Duomo – associazioni, partiti dell’arco costituzionale, il sindacato e realtà culturali, fondarono il Comitato Permanente Antifascista contro il Terrorismo per la Difesa dell’ordine repubblicano, nel maggio 1969, immediatamente dopo le bombe scoppiate il 25 aprile alla Fiera Campionaria e alla Stazione Centrale quale inquietante prologo della carneficina di piazza Fontana.
«Il lutto che le vostre famiglie hanno sofferto è una ferita nelle persone, prima di tutto: un aspetto familiare che giustifica questo momento, un poco più raccolto, per dirvi la mia vicinanza», osserva subito l’Arcivescovo che riflette: «Certo, quella tragedia ha avuto rilevanza nazionale, vi è stata una reazione, una resistenza che ha permesso alla democrazia di sopravvivere, di fronte a una trama volta a distruggere il sistema. Quindi, il vostro dolore è anche dentro una vicenda nazionale, ha un aspetto pubblico e storico».
Quello delle molte occasioni nelle quali l’Associazione ha lottato per il diritto ad avere giustizia e fare chiarezza sulle cause. «Cercare di richiamare l’attenzione è stato doveroso e vi ringrazio per tutte tribolazioni che avete dovuto subire per responsabilizzare la società con impegno tenace e determinazione per una giustizia che potesse essere affidabile e per uno Stato che potesse essere dalla parte giusta e non sospettato di collusioni, di confusioni e di depistaggi».
Poi, il riferimento è alla “Pietà Rondanini” di Michelangelo, la cui immaginetta il Vescovo dona a ciascuno. «“Pietà” che si trova al Castello Sforzesco, non in una Chiesa, in un luogo di devozione, ma in una collezione importante anche per la memoria civile. Ve la lascio come ricordo e messaggio di questo incontro, perché rappresenta il momento in cui il Cristo morto è deposto dalla croce e offerto alle braccia della madre. Maria che è viva, in realtà, sembra appoggiarsi a Gesù, e io ho riassunto il messaggio di questa opera, nella frase: “A questa morte si appoggia chi vive”. La morte di Gesù è un appoggio, anche quando si è provati dal dolore, perché è una morte che introduce alla vita. Anche di fronte alla tragedia che, agli occhi degli uomini, è irrimediabile – la perdita di una persona cara, specie nel modo tragico come è accaduto a voi -, noi cristiani professiamo questa certezza di fede che Cristo è principio di vita proprio per chi muore. Questa immagine è un modo di interpretare la vita e la morte, l’unica strada che permette di custodire la speranza anche quando le vicende della vita sembrano indurci alla disperazione. La reazione di milanesi ha permesso di costatare la forza della democrazia di fronte alla violenza delle trame terroristiche – questo è successo cinquant’anni fa -, ma non è mai una vittoria definitiva. Nella storia, bisogna che si facciamo sempre avanti uomini e donne per far fronte al male che incombe, alla vigliaccheria che colpisce La nostra democrazia e la libertà non sono mai salve una volta per sempre, si salvano ogni giorno, perché ci sono persone che le difendono anche se dovesse costare dei sacrifici».
La Celebrazione eucaristica
Concetti ribaditi, questi, nell’Eucaristia, concelebrata da oltre 20 sacerdoti, tra cui 2 vescovi, monsignor Agnesi e monsignor Martinelli, dai Canonici del Capitolo Metropolitano, dai Vicari episcopali di Zona e di Settore, e alla quale partecipano la vicesindaco Anna Scavuzzo, con la fascia del Primo cittadino, e molti rappresentanti delle Istituzioni sul territorio. Ai lati dell’altare maggiore del Duomo non mancano – a significare la valenza anche civile del momento – i Gonfaloni del Comune di Milano, della Regione Lombardia e della Città Metropolitana.
«Siamo i familiari delle vittime, o meglio come ormai ci chiamiamo, i testimoni della strage di piazza Fontana», sottolinea, nel saluto iniziale Arnoldi. «Cinquant’anni fa eravamo qui per dare l’ultimo saluto ai nostri morti nel funerale celebrato dal mai dimenticato cardinale Giovanni Colombo. Funerale che, per la partecipazione popolare di moltissimi milanesi, ha segnato una svolta storica per la democrazia in Italia, come ha sottolineato anche il presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Ci stringiamo intorno all’arcivescovo Delpini con sentimenti difficili da esprimere. Signore della storia, Dio della vita, custodisci la loro memoria, rendila ricordo grato e insegnamento perenne dell’orrore assurdo, del lutto, della devastazione che ogni attentato è per la storia del mondo. Spiegaci Tu il senso del loro sacrificio: morti innocenti raccolti nelle Tue grandi braccia». E risuonano, così, come 50 anni fa (era esattamente il 15 dicembre) i nomi dei 17 che persero la vita (ma qualcuno morì giorni, mesi e anni dopo).
«Il tempo che abbiamo vissuto è stato riletto come chiuso in un periodo: quel tempo si è chiamato “gli anni di piombo”, “la notte della Repubblica”. In effetti, si può dire che la nostra storia è sempre una notte, è sempre un enigma insolubile, anche se non tutti i periodi con le stesse azioni tragiche e vigliacche, non tutti i luoghi con la stessa violenza. Le vittime di piazza Fontana hanno prodotto una ferita che non si può guarire, una perdita che non si può risarcire. Come è stato possibile che fare del male e far soffrire persone innocenti e sconosciute sia stato considerato un modo per dare storia a una idea, a un programma politico? Che cosa c’è nell’essere umano che lo renda disponibile alla crudeltà, volonteroso nel distruggere, ostinato e irremovibile nel seminare terrore? É un enigma insolubile: le analisi e le teorie, le statistiche e le documentazioni, le parole e le immagini si accumulano ad offrire spiegazioni e narrazioni. Ma noi cosa comprendiamo? Che cosa diremo degli anni che abbiamo vissuto? Che cosa diciamo del tempo che viviamo? A noi non possono bastare lo sdegno e la protesta, le ricostruzioni e le commemorazioni; non ci adeguiamo alla rassegnazione che invoca la distanza temporale per giustificare l’oblio e persino l’indifferenza».
Nel silenzio, tra le navate c’è anche qualche sopravvissuto, la voce dell’Arcivescovo è come un monito e un affidamento alla speranza che non muore. «Ci commuove rivedere le immagini di quella Celebrazione che ha convocato tutta la città a piangere intorno alle 17 bare, ad ascoltare le parole del Vescovo della Chiesa ambrosiana, pronunciate per invitare un popolo sgomento a far fronte all’aggressione incomprensibile. Ma non ci basta: siamo qui perché desideriamo e abbiamo il coraggio di affrontare la sfida di un’interpretazione teologica della storia».
La domanda, ovvia per gli uomini, è “dove era Dio”?
«La parola del Vangelo contesta ogni presunzione, ogni pregiudizio, ogni schema precostituito, di chi pretende di sapere qualcosa a proposito di Dio. Come dice infatti il Vangelo, che abbiamo appena ascoltato, “Dio nessuno lo ha mai visto”. Dio risponde nella storia di Gesù».
«La risposta di Dio non è, quindi, un discorso o un’argomentazione, ma la presenza di un uomo che percorre un tratto di strada, che abita un frammento del tempo, che parla con parole di uomo, soffre con carne di uomo, muore con grido di uomo e ama con il cuore di Dio: Gesù: un uomo, il figlio di Dio».
«Così procede la storia, così vive la speranza, perché i figli della luce abitano la terra. È ancora notte, ma una notte da figli della luce, dediti al dovere, amici della democrazia, servitori dello Stato. Uomini e donne di ogni parte, di ogni partito, di ogni livello di responsabilità -, figli della luce – hanno lavorato, hanno sofferto, hanno pagato a caro prezzo la loro fedeltà alla parola data, al compito assegnato. Per questo si considerano conclusi gli anni di piombo, perché i figli della luce hanno abitato a Milano e in questo nostro Paese».
Da qui la consegna: «Siamo qui per dire che vogliamo essere figli della luce, una piccola luce per resistere, una volta ancora, a chi vuole togliere la libertà. Questo tempo ci chiama a distoglierci dalla rassegnazione e dalla paura, a lasciarci accendere da Colui che è la luce del mondo per vivere la pazienza di trasformare in luce le tenebre della terra, sotto ogni cielo e presso ogni popolo. La storia la scrivono gli uomini: non è mai una concatenazione di cause e di effetti».
E, alla fine, ancora un pensiero: «Credo che la significativa presenza delle Autorità civili e dei Gonfaloni sia di conforto per i parenti delle vittime. Vedere le Istituzioni al loro fianco, sentire la solidarietà della città, li aiuti a proseguire il servizio alla memoria e per la responsabilità perché le stragi non si possano più ripetere e la nostra convivenza continui a essere promettente e desiderabile».