«Un’impresa coraggiosa e opportuna». Con un’espressione definita «importante» e tratta dalla prefazione scritta dall’Arcivescovo per il volume Il senso cristiano dell’uomo secondo Reinhold Niebhur, nell’Aula degli Atti accademici della Cattolica è il presidente della Fraternità di Comunione e Liberazione Davide Prosperi ad aprire l’affollata presentazione del saggio. Una pubblicazione di oltre 240 pagine, curata da Monica Scholz-Zappa, che contiene la tesi dottorale del fondatore di Cl presentata il 23 giugno di 70 anni fa nel Seminario di Venegono, e sulla quale prendono la parola, tra gli altri, monsignor Delpini e la curatrice stessa.
«Una tesi per cui non si tratta, certo, di un adempimento accademico, ma che è stata così intensamente vissuta da Giussani da divenire fattore rilevante per la formazione del suo pensiero. È un testo che ha da dire molto agli uomini e le donne di questo tempo, culturalmente impregnati di molti di quegli aspetti del pensiero protestante americano che Giussani rileva e approfondisce criticamente in queste pagine», conclude Prosperi, dopo aver ringraziato in modo speciale il Seminario arcivescovile di Milano, l’Università Cattolica – presente l’assistente ecclesiastico generale dell’Ateneo, monsignor Claudio Giuliodori – e il rettore Franco Anelli, recentemente scomparso.
L’intervento dell’Arcivescovo
«Mi pare che il senso della ricerca di Giussani sia che si possono porre delle domande e, quindi, evidenziare l’aspetto di inadeguatezza del pensiero, per cui anche un certo modo di intendere il fatto cristiano può essere insoddisfacente», spiega subito monsignor Delpini che aggiunge: «Qui vi è una libertà del pensare di fronte al grande rischio, che noi sperimentiamo, di vivere di citazioni».
Niebuhr, il teologo e pastore statunitense che rappresenta, come osserva Giussani, «il risultato più maturo e critico della teologia protestante nordamericana degli anni Trenta-Quaranta», calandosi nella drammatica realtà di sfruttamento dei lavoratori della Ford di Detroit, «fu provocato a fare passi diversi da quelli a cui era predestinato (ossia la teologia), per l’incontro con la sofferenza, con la situazione dello sfruttamento in una società americana di grande successo, ma con un alto costo umano. Il suo era un pensiero che evolve perché provocato dalla sofferenza». Due, quindi, gli aspetti sottolineati dall’Arcivescovo: «Il coraggio di porre domande e la serenità di incontrare pensieri diversi senza farli diventare fonte di smarrimento o di inquietudine, ma contributi a pensare insieme il fatto cristiano e la verità dell’uomo secondo il Vangelo».
Giussani e il Seminario
Delineando il rapporto tra il servo di Dio Giussani e il Seminario di Venegono, l’attuale rettore don Enrico Castagna – il suo testo viene letto dal giornalista e moderatore dell’incontro, Alessandro Zaccuri – ricorda che la tesi dottorale ebbe come relatori don Carlo Colombo, monsignor Carlo Figini e don Giovanni Battista Guzzetti. «Con l’umiltà caratteristica degli uomini di Dio, don Giussani diceva che nel suo insegnamento non aveva riproposto altro se non ciò che aveva appreso dai suoi maestri in Seminario: Carlo Colombo, Giovanni Colombo, Carlo Figini e Gaetano Corti. In effetti, potremmo considerare Giussani come uno dei frutti maturi di quella che da lui stesso è stata definita la “Scuola di Venegono”. Da quel tratto di storia del nostro Seminario, è sorta una generazione di illustri sacerdoti, formatisi non senza fatiche durante la Seconda guerra mondiale: costoro seppero eccellere nello studio della teologia e nel servizio alla Chiesa ambrosiana e universale. Giussani ebbe qualcosa in comune con queste personalità, fu sia teologo sia pastore, sapendo riconoscere quel punto di unità tra fede e vita che riteniamo ancora oggi fondamentale nella formazione seminaristica».
Realismo e concretezza
Dalla figura di Reinhold Niebuhr, figlio di un pastore evangelico, nato del 1892 e morto nel 1971, quale «teologo non appartato nei suoi studi», prende avvio la comunicazione di Lorenzo Ornaghi, già rettore dell’Ateneo e ministro: «Niebhur ebbe un’ampiezza di interessi che si esemplifica nei titoli di opere da lui dedicate alla politica del potere, fino alla più importante Natura e destino dell’uomo del 1941-’43, per arrivare a Nazioni e imperi del 1959 e, nel ’65, a Natura dell’uomo e le sue comunità, con un’influenza davvero grande nel settore delle relazioni internazionali».
Un nucleo teologico del pensiero che «parla di una partecipazione totale del cristiano al mondo, alla storia, alla politica, ma allo stesso tempo, di una sua insopprimibile alterità. Temi – questi -, che colpiscono il giovane Giussani che definisce Niebhur un “rivoluzionario, uomo di sinistra nel sociale e conservatore nella teologia”» e che ebbero notevole impatto sulla società nord-americana, tanto che Arthur Schlesinger jr dice, nel 1990, che l’influenza di Niebuhr si estende fino ai nostri giorni».
Dunque, «realismo, concretezza e attualità», come «caratteristiche dell’espressione intellettuale di Niebuhr che è anche ciò che caratterizzerà don Giussani nei pilastri che sosterranno il suo pensiero». Non a caso, «sul termine realismo – di difficile definizione perché è sempre più indefinibile il concetto di realtà – Giussani basa il suo metodo educativo, perché senza realismo non ha senso parlare di esperienza e dell’incontro come accadimento. Un realismo – come nota l’Arcivescovo citato da Ornaghi – che ha la sua fonte nel Seminario di Venegono».
Da qui anche la radice profonda del legame del Servo di Dio con la Cattolica: «Arrivando in questa Università nel 1964, quando inizia a insegnarvi, don Giussani trova un ambiente consonante perché il realismo cristiano di Gemelli, pur scomparso già da cinque anni, è ancora presente come pensiero e criterio di azione». Basti ricordare quando il fondatore «parla di agire sovrannaturalmente nel cuore della realtà, per ripugnante che essa possa essere e sembrare. Così come Gemelli, Giussani dice che la realtà della storia può presentare brutte possibilità, e allora quando è così, l’ultima parola è una soltanto ed è quella affidata al mistero con misericordia», sottolinea Ornaghi al termine del suo intervento.
Un testo fondativo
Sulla novità dell’analisi giussaniana che emerge dalla tesi si è infine soffermata la curatrice Monica Scholz-Zappa, delineando tre peculiarità innovative e «avanguardistiche» del testo. Anzitutto, «una prospettiva ecumenica in cui l’ecumenismo non è solo l’oggetto della riflessione, ma ne è il soggetto: ecumenismo da intendere prima di tutto come dimensione culturale dell’io; inoltre, la questione sintetizzata dalla scelta del titolo: Il senso cristiano dell’uomo» e non, il più riduttivo senso dell’uomo cristiano. E, terzo, «la forte sintonia di Giussani con l’acuta e dettagliata descrizione niebuhriana della drammatica condizione strutturale in cui l’uomo vive il suo essere finito e infinito, limite e continua aspirazione ad andare oltre sé, tra la morte e il desiderio di eternità. Così, attraverso Niebuhr, Giussani rimette al centro la questione umana come questione di un senso dell’umano».