La lettera apostolica Patris corde (Con cuore di Padre) è un grande dono di papa Francesco alla Chiesa e alla società tutta: mettendo al centro dell’attenzione San Giuseppe, uno delle figure più “silenziose” del Vangelo, questo breve, ma intenso documento ci consente di ripensare ad alcuni valori fondanti dell’umano, troppo spesso dimenticati o banalizzati nella contemporaneità.
Molte sono le chiavi di lettura e gli spunti, a partire dal modo in cui la lettera è strutturata, che definiscono già i motivi per cui è preziosa la testimonianza dello sposo di Maria e padre di Gesù. Dopo aver ricordato San Giuseppe come «padre amato» (n.1), facendo memoria dell’intensa devozione popolare da secoli a lui tributata, la lettera ricorda che Giuseppe è stato padre «nella tenerezza» (2), «nell’obbedienza» (3), «nell’accoglienza» (4), «dal coraggio creativo» (5), «lavoratore» (6), per arrivare a «padre nell’ombra» (7).
Anche solo da queste parole emerge una paternità ben diversa dallo stereotipo di un maschile tutto rigidità, regole e divieti, e caratterizzata da molte parole “morbide”, rotonde, come l’accoglienza, o la tenerezza, anch’esse erroneamente attribuite al solo femminile, con un altro stereotipo. Lasciamo parlare la Patris corde.
«Essere padri significa introdurre il figlio all’esperienza della vita, alla realtà. Non trattenerlo, non imprigionarlo, non possederlo, ma renderlo capace di scelte, di libertà, di partenze. Forse per questo, accanto all’appellativo di padre, a Giuseppe la tradizione ha messo anche quello di “castissimo”. Non è un’indicazione meramente affettiva, ma la sintesi di un atteggiamento che esprime il contrario del possesso. La castità è la libertà dal possesso in tutti gli ambiti della vita. Solo quando un amore è casto, è veramente amore. […] Dio stesso ha amato l’uomo con amore casto, lasciandolo libero anche di sbagliare e di mettersi contro di Lui. La logica dell’amore è sempre una logica di libertà, e Giuseppe ha saputo amare in maniera straordinariamente libera. Non ha mai messo se stesso al centro. Ha saputo decentrarsi, mettere al centro della sua vita Maria e Gesù. La felicità di Giuseppe non è nella logica del sacrificio di sé, ma del dono di sé […] Il mondo ha bisogno di padri, rifiuta i padroni, rifiuta cioè chi vuole usare il possesso dell’altro per riempire il proprio vuoto […]».
Bellissima, questa reinterpretazione di una parola ormai fuori moda, «castità», di cui si recupera la vera radice, che rimanda all’assenza di possesso e di sopraffazione, a favore dell’amore alla libertà dell’altro.
Un altro tema di grande attualità che la figura di San Giuseppe aiuta a riscoprire è la natura non biologica della sua paternità, non legata, né tantomeno legittimata dal puro vincolo di sangue (pure decisivo nella stessa genealogia di Gesù e nella cultura del popolo eletto), ma fin da subito chiamata a farsi padre di chi, misteriosamente, non hai generato direttamente. In effetti diventare padri – non solo per San Giuseppe – è un percorso più costruito socialmente, meno “biologico” rispetto al diventare madri. La paternità testimonia quindi con maggiore chiarezza una responsabilità genitoriale (paterna e materna insieme) capace di farsi padre e madre anche di chi non è stato generato dalla propria carne. Come avviene per l’adozione, in cui si diventa genitori (padri e madri) pienamente, senza diminuzioni, pur essendo privi del legame biologico con il figlio, assumendosi socialmente tutti i compiti di cura, accudimento, conferma dell’identità, appartenenza, che i genitori devono attribuire ai propri figli, “biologici o sociali”. Infatti (e sono ancora le parole della Patris corde): «Padri non si nasce, lo si diventa. E non lo si diventa solo perché si mette al mondo un figlio, ma perché ci si prende responsabilmente cura di lui. Tutte le volte che qualcuno si assume la responsabilità della vita di un altro, in un certo senso esercita la paternità nei suoi confronti. Nella società del nostro tempo, spesso i figli sembrano essere orfani di padre».
San Giuseppe ha saputo invece essere «padre nell’ombra», riprendendo il titolo di uno splendido volume (assolutamente da leggere!) dello scrittore polacco Jan Dobraczyński (L’ombra del Padre), che (sempre Patris corde) «con la suggestiva immagine dell’ombra definisce la figura di Giuseppe, che nei confronti di Gesù è l’ombra sulla terra del Padre Celeste: lo custodisce, lo protegge, non si stacca mai da Lui per seguire i suoi passi».
Da ultimo, commuove l’obbedienza radicale di San Giuseppe, che testimonia la profonda umanità e radicalità di un atteggiamento sempre più scandaloso per l’uomo contemporaneo, che pretende con sempre maggiore arroganza di non dover dipendere da nessuno. Invece San Giuseppe è tanto più uomo – e tanto più padre – quanto più si affida al disegno di Dio. Per questo diventa capace di non ripudiare Maria, sposa promessa già incinta, per questo diventa capace di proteggere Gesù abbandonando la sua terra per l’Egitto, per questo saprà essere «l’ombra del Padre» per questo Figlio così altro da sé. È così che si diventa persone più vere: sempre con le parole della Patris corde, perché «in ogni circostanza della sua vita, Giuseppe seppe pronunciare il suo fiat, come Maria nell’Annunciazione e Gesù nel Getsemani».