Un Giubileo vissuto in festa, nel canto, nella gioia, nella preghiera, espressione della Chiesa dalle genti e di «un fuoco dentro che riscalda il cuore affaticato e stanco di tanta gente».
È quello che è stato celebrato alla vigilia della XXIX Giornata Mondiale della Vita Consacrata, da monache, monaci, consacrati e consacrate secolari e di altre forme di consacrazione, provenienti da ogni zona della Chiesa di Milano. Tutti insieme per un «momento di grazia» – come lo ha definito il vicario episcopale di Settore, monsignor Walter Magni -, al quale hanno potuto partecipare anche alcune claustrali uscite per un pomeriggio dai loro monasteri di clausura, per l’occasione straordinaria di questo Giubileo diocesano che si è articolato in diversi momenti.
I canti e la processione per le vie del centro
Dal suo inizio nella basilica di San Carlo al Corso gremita dove, presenti l’Arcivescovo, il Vicario generale, il Moderator Curiae, alcuni vicari episcopali di Zona e molti sacerdoti ambrosiani, diverse centinaia di coloro che vivono la consacrazione, con le loro vesti tradizionali delle grandi congregazioni storiche o gli abiti quotidiani delle nuove forme di consacrazione, si sono uniti, con età e carismi differenti, in un tripudio di colori e di suoni, di armonie musicali originarie dei quattro angoli del mondo.
Tra linguaggi e sonorità sacre eseguite da consacrati e consacrate di differenti origini, animate al meglio dal coro multietnico Elikya, quella che è andata in scena – è proprio il caso di dirlo – è stata così la Chiesa dalle genti di chi dona ogni giorno la sua esistenza interamente al Signore, nell’assistenza ai malati e ai più fragili, nella scuola, nello studio e nella preghiera, nella vita contemplativa: 4000 persone diffuse sull’intero territorio della Chiesa ambrosiana.
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Poi, portando ciascuno un piccolo lumino tra le mani, la processione – aperta da alcune suore del Togo e del Benin – si è snodata, fino alla Cattedrale percorrendo un affollato corso Vittorio Emanuele, tra le vetrine dei negozi del centro e la curiosità, ma anche il rispetto del “popolo” di ogni sabato pomeriggio milanese, armato di smartphone per l’immancabile selfies.
La celebrazione
Infine, in Duomo, con l’ingresso dal grande portale centrale per la celebrazione eucaristica vigiliare nella Solennità della Presentazione del Signore al Tempio, presieduta dall’Arcivescovo e concelebrata da oltre sessanta sacerdoti, tra cui i Canonici del Capitolo metropolitano e molti religiosi. Messa ricca di tanti gesti suggestivi ed evocativi, che prende il via dal battistero di epoca borromaica, ancora tra tante luci, benedette dall’Arcivescovo, e la lunga processione che percorre la navata centrale accompagnata, come tradizione, dall’antica icona della Madonna dell’Idea.
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Dopo il saluto di monsignor Magni, che sottolinea la multietnicità della Vita consacrata ambrosiana e rivolge un pensiero a chi è ora nelle Case di riposo, tutti «espressione di un grande fiume contemplativo e orante che innerva e feconda la nostra Diocesi operosa», è il vescovo Mario a indicare 5 parole-guida da meditare, nella sua omelia ispirata alla pagina evangelica di Luca con la narrazione della presentazione di Gesù al tempio: «Ora, gloria, stupore, la spada, Nazareth».
«L’ora e la gloria»
«La vita consacrata vive in quest’ora, in questo presente, nell’incontro con Gesù, che dà senso a tutto.
Perciò la vita consacrata può vincere la tentazione di avere nostalgia del passato, delle glorie, dei risultati, dei numeri. Forse troppo spesso ritorna nel nostro linguaggio di consacrati la memoria di un “allora”: l’incontro con Gesù trasfigura tutto e rende tutto relativo. Forse troppo spesso nell’animo dei consacrati ritorna il ricordo doloroso dei fallimenti, delle umiliazioni, delle delusioni: l’incontro con Gesù ora può guarire tutte le ferite. Perciò la vita consacrata può vincere la tentazione dell’angoscia per il futuro, l’incombere dell’incertezza, l’esperienza della precarietà, la necessità di abbandonare posizioni importanti e luoghi e case bellissimi».
Poi, la gloria di Dio «che riempie il tempio».
«Non conta essere giovani o vecchi, essere tanti o pochi, essere di origine italiana o di origine straniera, essere uomini o donne. Quello che conta, la ragione per cui possiamo avere stima di noi stessi è solo questo: essere avvolti dalla gloria di Dio, cioè accogliere l’amore che ci rende capaci di amare, secondo il comandamento di Gesù: amatevi, come io vi ho amato».
«Lo stupore e la spada»
Dalla terza parola, lo stupore «che è l’emozione che invade la vita, è la luce che apre gli occhi perché ogni persona consacrata sempre impara di nuovo chi sia Gesù», alla quarta: la spada che «trafiggerà l’anima di Maria».
«La rivelazione della gloria, cioè dell’amore che rende capaci di amare, si espone alla ferita della spada che trafigge l’anima. Maria sperimenterà lo strazio dell’amore che non è amato, del Figlio che offre luce ed è contrastato dalle tenebre, offre perdono e riceve risentimento, offre amore e viene ricambiato con odio e violenza. Così coloro che riconoscono in Gesù la manifestazione della gloria di Dio sperimentano lo strazio nel costatare che Gesù non è accolto, non è conosciuto, non è amato. I consacrati non soffrono più per se stessi, non si ripiegano su di sé come vittime che si compiangono, ma soffrono perché l’umanità preferisce le tenebre alla luce. E, poiché seguono Gesù, non possono tirarsi indietro. Il rifiuto, l’ostilità, l’indifferenza non bastano a convincerli che è meglio lasciar perdere».
«Nazareth: la vita quotidiana»
Infine, Nazareth. «Il mistero di Gesù abita il silenzio, cresce e si fortifica a Nazareth, il villaggio insignificante, il quotidiano degli affetti, del lavoro, della preghiera condivisa, della cura vicendevole.
Abitiamo per lo più a Nazareth, cioè nel quotidiano che non fa rumore, che non sta sotto i riflettori, e lì abitiamo con Gesù che trasfigura il quotidiano nella grazia di crescere nella conformazione a lui, nell’amore che ci rende capaci di amare. Che questa festa sia piena di gioia, di affetto, di soddisfazione personale, facendo luce», conclude l’Arcivescovo.