«Abbiamo voluto esprimere la nostra devozione ai santi Papi, per dare un tributo di gratitudine a Bergamo e Brescia, che sono Capitale italiana della Cultura 2023. Siamo venuti a Sotto il Monte e andremo a Concesio per questo, ma anche per contestare quell’immagine della cultura, spesso diffusa, come una specie di supermercato, una disponibilità inesauribile di chiacchiere, immagini ed emozioni, in cui ognuno prende quello che vuole. Noi cristiani crediamo, invece, che sia un umanesimo, ciò che rende più umano una donna e un uomo e siamo grati a santi Papi, perché sono stati testimoni di una cultura che dà qualità alla vita umana».
La celebrazione
È collegando idealmente i tanti motivi di ringraziamento per la fede, la bellezza, la storia delle due città di Bergamo e Brescia e dei loro territori, che l’Arcivescovo delinea le ragioni profonde del pellegrinaggio dei Vescovi lombardi, da lui guidato quale metropolita della nostra regione ecclesiastica, che si svolge tra i luoghi natali di San Giovanni XXIII e San Paolo VI.
Due dei tre Pontefici lombardi dello scorso secolo (lo era anche l’ambrosiano Pio XI) ai quali fa riferimento, nel suo saluto di apertura, monsignor Francesco Beschi, vescovo di Bergamo: «Papa Francesco, nell’udienza che ha concesso insieme a Sotto il Monte e Concesio sottolineava i legami con le terre e i paesi che hanno dato i natali ai due Papi: Dio non fa i santi in laboratorio, li costruisce sotto la guida dello Spirito Santo, scavando in profondo, ponendo solide fondamenta e ogni cura perché cresca la loro vita ordinata e perfetta. Questo hanno respirato, fin da piccoli, Angelo (Roncalli) e Giovanni Battista (Montini) che, fra loro, hanno coltivato una profonda amicizia per il bene della Chiesa e del mondo e vorremmo che anche la nostra amicizia fosse così».
Parole che risuonano nella parrocchiale (consacrata solennemente proprio dal futuro Pontefice nel 1929) del Santuario di Sotto il Monte, dove tutto parla del «Papa buono», soprattutto la cripta con le centinaia di ex-voto e i segni di devozione che i presuli visitano, come l’intero complesso, prima dell’inizio della Messa. Rito concelebrato da 11 vescovi, dal segretario della Cel monsignor Giuseppe Scotti e da altri 15 sacerdoti: accanto all’Arcivescovo, il cardinale Oscar Cantoni, vescovo di Como; per la nostra Diocesi, oltre a monsignor Delpini, ci sono il vicario generale Agnesi e gli ausiliari, Vegezzi e Raimondi. In prima fila una decina di Sindaci del territorio, i fedeli e i pellegrini che a Sotto il Monte non mancano mai.
Dalle letture prende avvio l’omelia dell’Arcivescovo.
Maestri dell’umanesimo cristiano
«Abita sulla terra l’uomo imperfetto, l’umanità incompiuta abita la fragilità e cerca la potenza, abita la miseria e cerca la ricchezza, abita la solitudine e cerca l’amore. L’uomo imperfetto è talora infelice, si deprime considerando la sua condizione ed è come stremato da una fatica insopportabile. L’umanità incompiuta è talora ribelle e presuntuosa: si dà da fare per cercare il proprio compimento, spreme la terra perché gli fornisca le risorse per diventare onnipotente, rende schiavi gli altri per farsi un trono su cui esaltarsi, sfida Dio».
Gravi e sotto gli occhi di tutti, gli effetti ciò che tutto questo provoca: «La dispersione, i malumori che convincono a stare per conto proprio, l’indifferenza, l’inerzia. Si usa, come fosse una cosa da niente, parlare male gli uni degli altri, dal Papa al Parroco fino a coloro che hanno ruoli di amministrazione o ordine pubblico. Si vive la divisione tra i cristiani come un fattore storico irrimediabile».
Eppure sono questi stessi donne e uomini che, se non si lasciano deprimere dall’infelicità, «incontrano, proprio sui sentieri dell’imperfezione, la sollecitudine amorevole di Dio che li chiama a perfezione. La vita è incompiuta perché è vocazione, non è fissata in un immobilismo senza storia, non è incasellata in un destino senza alternative, è libertà chiamata a compiersi».
Da qui ciò che paiono domandare, con le loro figure che giganteggiano nella storia, Giovanni XXIII della Pacem in Terris e Paolo VI, che, dal palco dell’Onu pronunciò (inascoltato) il famoso «Mai più la guerra». «Che cosa fate per tenere unita la Chiesa? Che cosa fate per rendere lieto, festoso il ritrovarsi dei molti popoli e cittadini perché si faccia festa insieme? Che cosa avete da dire all’umanità scoraggiata, alle persone disperate, alla gente convinta che si può vivere bene anche facendo a meno di Dio, a questa generazione giovanile che rischia di non credere più che la vita sia bella, che l’amore duri per sempre? Ecco come l’umanità incompiuta può avviarsi alla perfezione: camminare nella pace, nella mansuetudine, nella magnanimità», comprendendo che la vita è vocazione. I santi Papi, ispirando l’opera del Concilio Vaticano II, hanno riproposto al mondo contemporaneo l’umanesimo cristiano».
«Invochiamo l’intercessione dei due santi Papi perché il loro messaggio, la loro testimonianza continui a essere voce che ci chiama a edificare la comunione nelle nostre comunità e la pace sulla terra e ci aiuti a quel quotidiano esercizio dell’umanesimo cristiano».
Al termine della celebrazione, i vescovi e i fedeli, in processione, raggiungono il vicino Giardino della Pace con la grande statua del Papa buono al quale viene levata la supplica per la pace nel mondo.