Sabato 20 aprile, al Seminario di Venegono, la giornalista e scrittrice Ylenia Spinelli ha presentato il suo libro per ragazzi Giovanni Paolo II, edito da In Dialogo (leggi qui). È intervenuto monsignor Ennio Apeciti, responsabile diocesano per le Cause dei Santi e consultore del Dicastero per le Cause dei Santi, con una riflessione sull’attualità di Karol Wojtyla e sul suo modello di santità a dieci anni dalla canonizzazione, avvenuta il 27 aprile 2014. Ne parliamo con lui.
Abbiamo da poco ricordato i 19 anni dalla morte di Giovanni Paolo II, il Papa dei giovani. Perché è importante farlo conoscere ai ragazzi di oggi?
Wojtyla visse una vita intensa in un tempo eccezionale. Perse la mamma da bambino e il fratello quando era adolescente. Una sera trovò il padre morto mentre pregava. Quanti oggi maledirebbero Dio? Karol, invece, trovò Dio in mezzo al dolore, Dio fu la sua forza. Né fu più facile la sua vita di prete e vescovo nella Polonia comunista, in un tempo di persecuzione. Il suo coraggio e la sua tenacia possono essere di esempio per tutti noi e in particolare per i nostri giovani.
Perché le Giornate mondiali della gioventù, ideate da Wojtyla, continuano a riscuotere successo?
Per il fascino che papa Giovanni Paolo II seppe suscitare sin dalle sue prime parole: «Non abbiate paura! Aprite, anzi, spalancate le porte a Cristo! Non abbiate paura! Cristo sa cosa è dentro l’uomo. Solo lui lo sa!». Era la sua fede eccezionale che si offriva a un mondo confuso, incerto. C’era e c’è nell’umanità e nei giovani un desiderio di verità, di coraggio, di entusiasmo che troppo spesso viene soffocato dal mondo degli adulti, rassegnati, stanchi, annoiati. Quando Wojtyla divenne Papa il mondo comunista stava crollando e così il mondo capitalista. Era un tempo incerto e lui venne a ridare speranza, quella che cercavano e cercano i giovani di oggi.
È stato un Papa capace di dividere i potenti della terra, ma amato dalla gente che lo ha voluto Santo subito. Cosa ha spinto la Chiesa a velocizzare i tempi per la canonizzazione?
La spiegazione sta da una parte in lui e dall’altra in Dio. Non era mai successo che milioni di persone accorressero a Roma per onorare un Papa defunto. Era ed è il segno della «fama di santità», che è quello che la voce di Dio, lo Spirito, suscita nel cuore degli uomini. Quei milioni di fedeli in attesa di venerare il Papa defunto mi ha ricordato la tradizione antichissima della Chiesa, quando i santi erano proclamati non dopo un’inchiesta o processo come oggi, ma dal basso, dal popolo. Per Giovanni Paolo II la santità era una cosa seria, ma tutti possono e devono diventare santi, perché «la santità è la misura alta della vita cristiana ordinaria», come ebbe a dire alla fine del Giubileo del 2000.
Con la sua vita di Papa fino all’ultimo respiro, quale modello di santità ha rappresentato?
L’avere fino all’ultimo offerto anche la sua malattia è il segno più grande. Ricordo ancora la sua apparizione alla finestra, davanti alla folla di Piazza San Pietro, la domenica delle Palme del 2005. Benedisse i fedeli con un ramo di ulivo, volle parlare, ma non gli uscì un filo di voce e picchiò la mano sul leggio, facendo una smorfia di dolore. Dietro questo gesto c’è un valore ancora più grande, che spiega la sua tenace resistenza: chi ama non ama a tempo ma per sempre e dona tutto se stesso, come Gesù sulla croce.