A sessant’anni dalla nomina di monsignor Giovanni Colombo ad Arcivescovo di Milano (10 agosto 1963), è giusto rendere omaggio alla figura di un sacerdote di grande tempra spirituale e culturale, il cui episcopato sarà tra i più illuminati e fecondi del Novecento, pur in anni – quelli del dopo Concilio, del Sessantotto e del terrorismo – tali da mettere a dura prova le pur grandi capacità di fermezza ed equilibrio dell’Arcivescovo.
Il prete letterato
Sembrava inizialmente destinato, per la sua passione per le lettere e per la sua ricerca degli aspetti religiosi nelle opere degli scrittori contemporanei, all’insegnamento della letteratura. E in realtà per molti anni, questo sacerdote nato a Caronno Milanese (poi Caronno Pertusella, Varese) il 6 dicembre 1902 e ordinato sacerdote nel 1926, dopo la laurea in teologia nel Seminario di Milano, era stato chiamato nello stesso anno a insegnare materie letterarie nel Seminario ginnasiale di San Pietro Martire (Seveso) e, nel 1931, lingua italiana nel Seminario liceale di Venegono Inferiore.
Conseguita anche la laurea in lettere presso l’Università Cattolica (1932) – dove aveva avuto come professore l’indimenticabile figura di Giulio Salvadori e come compagni uomini del calibro di Michele Pellegrino, poi Arcivescovo di Torino, Amintore Fanfani e Nello Vian -, era poi stato per lunghi anni docente di sacra eloquenza in Seminario e, dal 1937 al 1939, anche lettore di lingua e letteratura italiana all’Università Cattolica. I suoi scritti letterari raccolti da Alessandro Zaccuri e da Inos Biffi sono una testimonianza di questi interessi letterari e della sua costante volontà di coltivarli anche da un punto di vista critico o divulgativo. Questo si accompagnava tra l’altro allo spiccato gusto di Colombo per la scrittura e a uno stile letterariamente elevato, per proprietà e ricercatezza di parole ed espressioni.
Il pastore d’anime
Le nomine, prima a Settore maggiore dei Seminari milanesi (1953), poi a Vescovo ausiliare del cardinale Montini (1960) e infine ad Arcivescovo di Milano (1963) indirizzeranno invece il suo ministero sacerdotale verso altri approdi. Al posto del letterato, che pur rimarrà sempre in lui, subentrerà il pastore d’anime. La sua impronta e paternità spirituale si erano già manifestate ai tempi del suo primo incarico di Rettore in Seminario, come ben testimonia anche questa significativa lettera inedita inviata a un giovane seminarista:
29 marzo 1944
Caro Maio,
poche cose in poche righe. Il cuore veramente vorrebbe scriverti a lungo, ed in realtà ho tardato questa risposta, sempre nella speranza di un angolo di tempo da dedicare a te, con calma, parlandoti anima ad anima. Penso che ora c’intenderemo meglio a voce, in un prossimo incontro che attendo presto: tu me lo fai sperare per le vacanze pasquali (mi troverai in Seminario fino al sabato santo a mezzodì; poi il venerdì in albis tutto il giorno; in altri giorni può darsi, ma non te lo posso assicurare). D’altra parte, attendere fino allora mi sembrava troppo lungo e troppo scortese: ecco il perché di questa lettera.
Ho riletto con affetto, con “l’attenzione del cuore”, la tua. Lascia che ti dica subito una cosa che mi preme: tu puoi diventare un sacerdote di profonda e piena vita spirituale, un sacerdote che sia davvero il messaggero e l’immagine di nostro Signore Gesù, un sacerdote che incida nelle anime un segno indelebile di salvezza, a un patto: che tu abbia a pregare tanto e che ti lasci guidare da chi ti vuol bene ed ha esperienza.
In questi giorni mi assedia l’animo un pensiero, quasi un’ansia: la Chiesa attraversa una crisi in questa svolta della storia in cui tutto crolla nel fuoco, nel sangue; per fronteggiarla ha bisogno di una riforma ascetica del clero diocesano; ha bisogno cioè di sacerdoti che ritornino all’entusiasmo evangelico, che abbiano il coraggio di distaccarsi da tutto, per amare perdutamente, eroicamente Gesù il nostro Salvatore, e le anime.
Non ti spaventi la prospettiva della rinuncia e del sacrificio: quando si rinuncia per Cristo, il cuore è colmo d’una consolazione cento volte più grande di quella che avrebbe provato accontentando il suo desiderio terreno.
Ma basta di ciò per iscritto.
T’invio l’augurio di lieta e santa Pasqua: l’unico che risorge è Gesù; tutto ciò che è vissuto fuori di lui resta morto per sempre; tutto ciò che si torna a lui con lui risorge e l’avremo per l’eternità.
La Madre del Risorto ti conforti e ti benedica.
Aff. mo tuo
Don Giovanni Colombo
L’esempio di Ambrogio
Il card. Colombo svolgerà il suo ministero come Arcivescovo aperto a tutte le realtà della diocesi, con la coscienza di governo, la ricchezza di dottrina teologica e spirituale, la sapienza operosa della tradizione ambrosiana, avendo innanzitutto davanti a sé il maestro di tutti, Sant’Ambrogio, per il quale scriverà ispirati discorsi alla città e alla diocesi, dal 1963 al 1978, alla vigilia della festa del Santo patrono, e del quale vorrà promuovere la pubblicazione di tutte le opere, affidata alle cure della Biblioteca Ambrosiana, per una conoscenza approfondita e una riscoperta necessaria della fonte identitaria originale del proprio essere e del proprio agire. Tutto il suo ministero assumerà in realtà, sulla scia del magistero di Ambrogio, una forte impronta spirituale e culturale, in tutti gli ambiti in cui la fede dev’essere trasmessa come testimonianza e azione di «verità e amore» (suo motto episcopale).
Quel che serve a un prete
Da qui la sua particolare insistenza anche su ciò che per ogni sacerdote e ogni cristiano andava posto a fondamento della vita: una formazione solida, nutrita di preghiera e di meditazione delle Scritture; la ricerca interiore e il continuo perfezionamento di se stessi; lo studio e l’aggiornamento; la passione per la liturgia; la dedizione alle anime; l’ardore della carità. A leggere la raccolta delle 16 illuminanti omelie pronunciate per l’ordinazione dei nuovi sacerdoti, oppure i 27 discorsi ai diaconi e suddiaconi, o altri interventi fatti nelle circostanze più diverse sul sacerdozio e la vita consacrata, tutto questo emerge in modo evidente, lasciando una trasparente immagine, non solo della limpidezza espressiva e del calore della predicazione del cardinale Colombo, ma del suo impegno teologico nel definire e raccomandare la prospettiva ecclesiale e le virtù personali necessarie per diventare servi fedeli della Chiesa e dell’uomo, messaggeri e vicari di Cristo nel mondo.
L’azione riformatrice
Poggiando la sua azione su questi solidi pilastri, il cardinale Colombo attuerà le riforme e gli aggiornamenti indispensabili per la Chiesa ambrosiana nel suo insieme o per le parrocchie. Nuovi organismi e uffici in Curia per una maggiore efficacia organizzativa, economico-amministrativa e pastorale; nuove chiese (154) in diocesi e in città, secondo i bisogni imposti dai movimenti della popolazione nelle periferie urbane (specialmente per i massicci fenomeni immigratori degli anni Sessanta), ma, al tempo stesso, impegno di risorse e sacerdoti per la missione ambrosiana in Africa; impulso al quotidiano cattolico Avvenire (dopo la sospensione delle pubblicazioni de L’Italia).
La valorizzazione del rito ambrosiano
Anche su altri versanti, numerose le iniziative intraprese: tra queste, il trasferimento della Facoltà teologica dal Seminario di Venegono a Milano, collocata in una dimensione interregionale (1968); la costituzione del Consiglio presbiterale (1969) e del Consiglio pastorale diocesano (1973); la riorganizzazione del territorio diocesano (1971); la promulgazione del Sinodo XLVI (1972); i lavori di completo restauro, già nelle intenzioni del cardinale Montini, del Seminario di corso Venezia a Milano (1973), dove troveranno ospitalità vari istituti di formazione pastorale; il rinnovamento di vari organismi culturali o accademici, come la Biblioteca Ambrosiana (1974) o l’Accademia di San Carlo (1976) o, in un pionieristico progetto culturale e sociale, la costituzione dell’Università della Terza età (1983), in un primo tempo presso il Centro pastorale Paolo VI di corso Venezia, poi in una più adeguata e attrezzata sede attigua alla basilica di S. Marco (1987).
Ma tra le decisioni più importanti del card. Colombo gli è riconosciuta unanimemente la conservazione, il rinnovamento e la valorizzazione del rito ambrosiano, con la creazione del nuovo Messale e degli altri testi (1976-1984), di nuovi canti e momenti liturgici, secondo una linea di fedeltà al Concilio e alla tradizione ambrosiana.
Più in generale, va dato atto al cardinale Colombo di aver mantenuto una guida salda e sapiente in quegli anni Sessanta e Settanta attraversati dai momenti di maggior fermento del dopo Concilio, non solo per i problemi posti anche alla Chiesa ambrosiana dai movimenti studenteschi, ma anche dalle forme di contestazione e disobbedienza da parte di singoli sacerdoti e comunità ecclesiali e dai conflitti del vescovo con movimenti e associazioni cattoliche: tutte vicende che determineranno tensioni e malesseri profondi, tenuti dal cardinale Colombo sotto controllo, secondo i casi e le circostanze con prudenza ed equilibrio, con energica e puntigliosa fermezza o con la comprensione e la benevolenza degna di un vescovo. Fino a quando le condizioni di salute e i limiti di età non lo costringeranno a lasciare l’incarico e a ritirarsi nel Seminario di corso Venezia, dove terminerà i suoi giorni (1992), questa sarà la cifra del suo episcopato e del suo insegnamento.