Nel 30° anniversario della morte del cardinale Giovanni Colombo, Arcivescovo di Milano dal 1963 al 1979, pubblichiamo il ricordo di Claudio Mazza, pubblicato sul numero di gennaio de Il Segno. In allegato una doppia intervista a monsignor Inos Biffi e monsignor Francantonio Bernasconi, realizzata in occasione del 25° della scomparsa.
Lo spazio in cui ha vissuto Giovanni Colombo è racchiuso nell’area della Chiesa ambrosiana. Tre le tappe: Caronno, dov’è nato il 6 dicembre 1902; Venegono dove si è conclusa nel 1963, da Rettor maggiore, la sua quasi quarantennale presenza di docente ed educatore nei Seminari milanesi; a Milano, da Arcivescovo (1963-1979), succedendo al cardinale Montini divenuto papa Paolo VI.
Colombo era nato per fare il professore di letteratura italiana e la insegnò per anni: «Prima che diventassi Arcivescovo, io curavo la forma del dire. Dopo, però, sono stato pastore d’anime, sempre». Gli anni del suo episcopato furono quelli della contestazione, del terrorismo, delle stragi, e anni di smarrimenti anche dentro la chiesa. La sua presenza fu decisa e chiarificatrice.
Così durante l’occupazione dell’Università Cattolica (1967) o quando il Duomo fu invaso da un gruppo di femministe (1976): «Siamo per la libertà di opinione, pur che si esprima nell’ambito del diritto e di un civile confronto». Ai funerali delle vittime della strage di Piazza Fontana (1969), rivolto alle autorità, disse: «Così non va, così non può andare. Tutti e ciascuno possiamo e dobbiamo far qualcosa per cambiare questo mondo». E deplorando la recrudescenza della spirale del terrorismo in città (anni Settanta) ribadiva: «Per risanare la società occorre liberare l’uomo dall’egoismo e dall’orgoglio che lo illudono di essere arbitro insindacabile delle proprie azioni».
Il suo magistero ebbe una maturazione nel tempo: mentre nei primi anni procedeva ancora sulla linea e nello stile dell’educatore, in un secondo tempo la sua prospettiva si allargò e divenne più aderente alle situazioni della polis. Il discrimine è il 1974, quando il tradizionale Discorso alla città (fu il primo a pronunciarlo) avviò la trattazione di temi coinvolgenti la società civile: «Permangono ombre e presagi preoccupanti che provocano nella popolazione un crescente senso di sfiducia, anzitutto verso l’attuale classe politica, accusata d’aver perduta la carica ideale dell’immediato dopoguerra, di invecchiare senza ricambio di persone nuove, di usare il potere anche per tutelare interessi di gruppo e di clientele». Furono cinque i “discorsi alla città”, l’ultimo nel 1978.
Nel 1977 il Comune di Milano gli conferì la grande medaglia d’oro con questa motivazione: «Sempre, e specialmente nelle ore di turbamento e di fronte a fatti di tragica violenza, ha recato il suo conforto e la sua autorevole parola di guida». Un riconoscimento che suggella il suo speciale legame con la città.