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Sirio 15 - 21 luglio 2024
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Giovani

Vita condivisa, “noviziato” per la vita

L’Arcivescovo ha incontrato in Curia oltre 50 ragazzi e ragazze maggiorenni che vivono esperienze di vita comune in diverse realtà, in un incontro promosso dalla Pastorale giovanile. «La vostra - ha detto mons. Delpini - non è una scelta funzionale a una sistemazione, ma a un discernimento».

di Annamaria BRACCINI

4 Giugno 2024

«La vita comune che avete raccontato, mi riempie di ammirazione per le scelte che avete fatto, per l’apprezzamento che avete espresso per questa esperienza, per la capacità di trovare una parola del Signore, come ispiratrice delle vostre intenzioni, pur nella diversità degli scopi, delle modalità, delle collocazioni, dell’età. Anche questa diversità dice di una realtà viva, non riducibile a uno schema». Sono queste le parole con cui l’Arcivescovo ha detto il suo “grazie” alla cinquantina e più di giovani che hanno raccontato, in maniera semplice e informale, le loro esperienze di vita comune in diverse realtà. L’incontro promosso dalla Pastorale giovanile – presenti il vicario episcopale di Settore, don Giuseppe Como, il responsabile del Servizio diocesano, don Marco Fusi e il direttore di Caritas ambrosiana, Luciano Gualzetti – ha fatto il punto su differenti modi di vivere la scelta della vita condivisa di ragazze e ragazzi maggiorenni, di età compresa, per lo più, tra i 20 e i 35 anni, studenti e lavoratori, in piccole comunità (mediamente di 5-6 persone) alloggiate in alcuni appartamenti divenuti veri e propri «laboratori di fraternità», come è stato sottolineato. 

La vita comune come discernimento

Dopo la preghiera dei Vespri recitata insieme nella Cappella arcivescovile, la foto di gruppo in casa del vescovo Mario, la cena consumata convivialmente nel cortile della Curia, il confronto ha delineato il senso di una vita “diversa” attraverso appunto la narrazione delle esperienze, tutte temporanee, con periodi di permanenza differente, espressione, alcune, di Caritas ambrosiana, dell’Azione Cattolica, di parrocchie e comunità religiose con il coordinamento della Pastorale giovanile.

«La vita comune, la conoscenza reciproca, la conoscenza di sé, la conoscenza di Gesù, il servizio agli altri che avete comunicato», ha proseguito l’Arcivescovo rivolto ai giovani, parla di una sorta di “noviziato” per entrare nella vita, ognuno con le scelte che ha deciso di fare, per le quali questi periodi di fraternità sono particolarmente preziosi. Vorrei incoraggiarvi a tenerlo presente perché mi sembra che questa sia una caratteristica che dà qualità alla giovinezza: voi siete giovani per diventare adulti che si assumono responsabilità. Questo tempo – che per qualcuno magari sono tre anni, per altri tre mesi -, ha uno scopo di formazione e di orientamento a vivere la definizione di sé e della propria vita».

Poi, una seconda indicazione, suggerita dalla centralità della Parola di Dio evidenziata da tutte le testimonianze. «L’importanza del riferimento al Signore, il pregare insieme, avere un testo che ispira la qualità della comunità, sono elementi caratteristici che non possiamo mai dimenticare se vogliamo seguire Lui».  Anche perché, suggerisce il vescovo Mario, non si tratta solo di dividere le spese, vivendo insieme perché, magari, si è studenti fuorisede, ma di qualcosa di più. «La vostra non è una scelta funzionale a una sistemazione, ma a un discernimento».

La Diocesi impara dalla vostra esperienza

Da qui la consegna. «La Diocesi ha desiderio di imparare da queste esperienze, comprendendo ciò che funziona e quello che si deve correggere. Quindi, io vorrei chiedervi, prima di lasciare le vostre case di vita comune, di scrivere anche poche righe per dire cosa va migliorato e cosa va già bene così come è. Mi interessa anche una valutazione di quanto avete vissuto, con qualche osservazione, magari propositiva, per migliorare la proposta che facciamo come Diocesi. Ho l’idea che tutti i giovani del mondo hanno bisogno di un periodo in cui condividere l’esistenza con dei coetanei e, quindi, in uno stile che costituisce un distacco dalla vita ordinaria ed è un apprendistato diverso della quotidianità. Il mio sogno è che ci sia una pratica generalizzata di un certo periodo di vita comune: noi riteniamo opportuna e benedetta questa esperienza».

Molto di più di un auspicio, questo, ma una sensazione palpabile mentre, nella sera che scende, i giovani raccontano e si raccontano, scegliendo, ogni singolo gruppo, un brano di Vangelo per ripercorrere i mesi (o anche molto di più) vissuti insieme, tra le difficoltà di ogni convivenza, le gioie, i passaggi «duri», ma sempre in un «crescendo di amicizia».     

Le esperienze

Come racconta Fabio, che fa l’educatore e vive nella casa “Ein Karem” a Monza. «Una fraternità autonoma realizzata all’interno di un convento francescano accanto ai frati» spiega – accanto a lui il religioso che li accompagna – perché abbiamo scelto, come icona biblica di presentazione, la “Lavanda dei piedi” «che ci ha colpito per il contesto in cui si svolge, ossia il momento della cena che per noi è fondamentale per fare fraternità. È il perno: cerchiamo sempre di cucinare insieme. Ognuno di noi si spoglia di quello che fa nella giornata ed entra in uno stato più intimo a contatto con l’altro e con se stessi. La nostra comunità non è vòlta a un servizio, ma esiste per comprendere le nostre scelte di vita e di lavoro».

È, poi, Chiara 26 anni da Airuno a sottolineare cosa sia, sempre a Monza, ma presso l’oratorio di San Rocco, la Comunità di Cafarnao, seguita da don Luca Magnani, che sceglie la parabola del paralitico nel Vangelo di Marco,

«Ci è piaciuto l’aspetto di quest’uomo che viene portato da fratelli e sorelle per incontrare Gesù e cosi è per noi che, nonostante le nostre paralisi, sperimentiamo come guardare in faccia le fatiche e paure. Ascoltiamo quello che Gesù ci dice: prendi la tua barella e vai a casa tua, casa Cafarnao».  

E la volta di “Ubuntu” con sede presso l’oratorio San Luigi  a Cinisello Balsamo dove Beatrice, Arianna e Maria Chiara – seguite da don Gabriele Lovatti – stanno concludendo, «con molto dolore nel cuore e gratitudine grande», la loro esperienza triennale. Forse per questo hanno voluto leggere la frase, “Io sono con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo”.  «È un grande dolore perché abbiamo chiara la bellezza, la ricchezza di questa esperienza che è amore, qualcosa che commuove quando diciamo che 3 anni non sono andati a vuoto».  

La vita comune per la carità

Martina, narra, invece, “Casa Nazareth” di Cernusco sul Naviglio con i suoi 5 “coinquilini” e don Andrea Citterio, che ha scelto tre brani evangelici per raccontare la loro vita comune per la carità: il pubblicano Matteo, «che parla di fiducia e che si collega al brano del Buon Seminatore e alla parabola dei talenti, esemplificazione della vita insieme, ormai alla conclusione, per cui sarà bello rivederci e dire che abbiamo fatto qualcosa, perché siamo cresciuti».

Sempre nella logica di mettersi a servizio degli ultimi, Giulio narra la Casa di via Correggio 36 a Milano, presso le Suore di Nazareth con Suor Antonella, suor Lidia e don Corrado Mattia. “Simile a un granello di senapa”, la frase che leggono. «Pensando alla nostra esperienza comune ci siamo immaginati di essere noi questi piccoli granelli. Abbiamo condiviso tanti momenti, anche solo una tavola apparecchiata o un biglietto di auguri, capendo che vivere insieme significa giocare a carte scoperte esercitando la pazienza. La nostra sensazione è di essere ancora piccoli, ma in crescita».

Si prosegue con la Comunità di fraternità, promossa presso la chiesa milanese di San Gottardo,  dal notissimo don Alberto Ravagnani. Davide 20 anni, da Trieste, dà voce ai “colleghi” che vengono da  Siena, Busto Arsizio, Arezzo, Firenze. “Non c’è amore più grande di questo, dare la vita per i propri amici”, la loro fase. «Abbiamo tirato fuori il meglio di noi e grazie alle nostre relazioni camminiamo nella fede. La nostra esperienza è solo una piccola parte di quella che esiste in tutta Italia. Siamo grati della vita che abbiamo ricevuto e vogliamo rendere qualcosa».

Ancor più centrale, a Milano, “Casa Magis” che presso la parrocchia di Sant’Eustorgio «per sperimentare la vita cristiana nell’accoglienza di altri giovani». Dal Salmo 123 – “Quanto è buono e soave che i fratelli vivano insieme” – il passo prescelto che «ci ha ispirato perché facciamo una lectio ogni martedì sera e questo ci ha accompagnato fin dall’inizio. Fraternità e preghiera sono le sponde della nostra casa».

E, ancora, si presenta la nuova realtà sorta nella parrocchia Tre Ronchetti e le esperienze legate alla “Rosa dei Venti” dell’Azione Cattolica, nelle parrocchie del Rosario, con don Martino Rebecchi, e di Santa Rita al Corvetto, indirizzate al discernimento vocazionale.  

«Ci accomuna la domanda dove abiti Gesù, e lo abbiamo trovato nelle compieta quotidiana, nella preghiera, tanti incontri belli e momenti conviviali in parrocchia».

Alla fine, dopo due ore, è don Marco Fusi a sintetizzare come meglio non si potrebbe  il senso dell’ incontro: «La Chiesa è una famiglia e una casa e voi che vivete in una casa lo potete testimoniare, fatelo».