Tra i fidei donum ambrosiani in Perù, che recentemente hanno ricevuto la visita dell’Arcivescovo nel suo viaggio nel Paese sudamericano, ci sono anche i coniugi Silvia e Giacomo Crespi, con il figlio Diego, 8 mesi, nato in missione. «Siamo a Pucallpa – spiegano -, una cittadina alla fine di una strada che parte da Lima, la capitale, e arriva qui dove inizia la foresta amazzonica e finisce un po’ il mondo, perché poi non c’è più niente».
Come mai avete fatto questa scelta di vita così radicale?
Entrambi avevamo alle spalle esperienze di volontariato all’estero, in Africa e anche in Sud America. Ci siamo conosciuti all’interno dell’associazione Barabba’s clown di Arese, legata ai Salesiani, e abbiamo iniziato insieme i viaggi missionari durante l’estate. Dopo il matrimonio siamo stati un anno in Rwanda anche per verificare quella che pensavamo potesse essere la nostra vocazione.
Una domanda provocatoria: c’è tanto bene da fare in Italia, bisogna andare fino in Perù?
Quando eravamo in Italia ci occupavamo comunque di attività simili a quelle che svolgiamo qui in Perù. Non abbiamo neanche scelto di andare in un posto o in un altro. Dove ci hanno chiamato noi abbiamo risposto “presente” e continuiamo a fare così mettendoci a disposizione lì dove c’è bisogno.
Di che cosa vi occupate a Pucallpa?
Nella zona amazzonica del Perù sono tanti quelli che non hanno un documento e quindi non esistono, non hanno una “identità”, perché vengono da villaggi all’interno della foresta. Prestiamo servizio quindi, all’interno della Caritas di Pucallpa, in un progetto sul “diritto all’identità”. Senza tralasciare però la pastorale giovanile, utilizzando soprattutto il teatro e le arti circensi come strumenti educativi, non solo in parrocchia, ma anche nel carcere minorile, negli orfanotrofi, nelle scuole. Inoltre, il vescovo di Pucallpa ci ha incaricato ufficialmente di rilanciare il Centro Giovani in modo che diventi un punto di riferimento per la gioventù di tutta la città. Da parte nostra pensiamo di organizzare forme simili a quelle che potremmo trovare in qualsiasi oratorio ambrosiano. Vorremmo aprire qui uno spazio per l’accoglienza dall’Italia di giovani volontari. Un’esperienza che noi raccomandiamo perché serve ad allargare gli orizzonti.
Qual è il contesto sociale in cui vi trovate?
Di forte espansione e con tantissime realtà molto povere, quelle che in Perù vengono chiamate “invasioni” da parte di coloro che dalla foresta amazzonica si stanno spostando in città. C’è una forte voglia di modernità: per esempio tutti hanno il cellulare, tutti hanno la televisione, anche se vivono su palafitte.
C’è qualche aspetto che dalla missione potreste riportare nelle nostre comunità?
I laici nella nostra realtà di Chiesa a Pucallpa sicuramente sono una presenza molto importante, se non necessaria. I sacerdoti sono pochi, come ormai un po’ in tutto il mondo, quindi per forza un po’ ci dobbiamo svegliare noi laici. Nello stesso tempo il clero deve essere più capace di accoglierli e di coinvolgerli nella pastorale. Ma soprattutto quello che il Perù continua a insegnarci, e che vorremmo un giorno riportare nella nostra Chiesa ambrosiana, è un modo di vivere la fede più semplice, più naturale, che forse in Italia abbiamo perso.
Per concludere, alla luce della vostra esperienza, come si può coniugare la parola «missione» per poterla comprendere meglio?
Abbiamo sempre sentito la parola «missione» molto vicina alla parola «giustizia»: essere coscienti che ci è stato dato tanto e non è giusto tenerlo solo per noi. L’altra parola che colleghiamo al termine «missione» è il termine «servizio», cioè camminare fianco a fianco, sapendo che si ha tanto da condividere, non si ha niente da insegnare, invece si ha tanto da imparare l’uno dall’altro. (N.P.)