Una panoramica rapida nei tempi, ma davvero a 360 gradi sulla Pastorale giovanile lombarda, proposta in vista del Sinodo sui giovani all’arcivescovo Delpini, metropolita della Regione Ecclesiastica lombarda e Padre sinodale. Questo il contesto dell’incontro svoltosi nella Cappella arcivescovile tra monsignor Delpini e gli incaricati di Pastorale giovanile e degli Oratori delle 10 diocesi lombarde (Odl), alla presenza di monsignor Maurizio Gervasoni, Vescovo di Vigevano e delegato della Conferenza episcopale lombarda per il Settore Giovani, e aperto da don Samuele Marelli, responsabile di Odl. I responsabili delle Pg, cui si è aggiunta la voce di una Salesiana (religiosi permanentemente presenti in Odl), hanno brevemente delineato attese, speranze e auspici riguardanti il Sinodo, definendo al contempo la situazione dei giovani nelle rispettive realtà.
Le testimonianze
A Bergamo, per esempio, in questi mesi si sono sviluppati incontri dialogici con i giovani, come ha raccontato don Emanuele Poletti: «Ci siamo messi in ascolto secondo quanto è scritto nel Documento preparatorio sinodale. Da qui, interviste, ricerche condotte su casa, lavoro, tempo libero e affetti. Con un camper ci siamo anche recati nei loro spazi aggregativi, in 60 luoghi dove i giovani si incontrano. Sono 4 i punti sui quali ci aspettiamo risposte e sollecitazioni dal Sinodo»: un’analisi del giovane in quanto tale «perché ci pare che sia in atto una vero mutamento antropologico»; poi, la questione su «chi porta avanti il lavoro di pastorale giovanile, al fine di concorrere tutti; inoltre, le modalità di lavoro e l’indicazione di una forma per tale impegno sinergico; infine, le strutture, per un loro rilancio, trovando risposte a quelli che sono i bisogni»
Don Claudio Laffranchini (Brescia) aggiunge: «Metterci in ascolto è stato difficile, ma ci ha fatto tanto bene. Abbiamo fatto un bagno di realtà, cambiando alcune convinzioni proprio grazie all’ascolto». Ciò che non cambia è la certezza che non ci può essere Chiesa senza i giovani. «Per questo vogliamo cercare i segni di speranza nelle loro vite e comprendere come Dio agisce in loro stessi, per far sì che il Vangelo possa essere ancora una buona notizia. Queste sono domande che ci hanno sferzato e a cui dobbiamo rispondere con una Chiesa di relazione. Chi frequenta la nostra Pastorale vorrebbe essere più protagonista, non ribaltando la Chiesa, ma aggiornandola. Una Chiesa di relazione potrebbe stanare i nostri ragazzi, strapparli alla loro solitudine, chiamandoli a rapporto a tu per tu».
È la volta di don Pietro Bianchi di Como: «Ci auguriamo che il Sinodo sia un cammino di tutta la Chiesa, aiutata dallo Spirito a crescere e speriamo che emerga la dimensione vocazionale della vita, forse in questi tempi, un poco tralasciata»
Gli fa eco don Stefano Savoia, della Diocesi di Crema: «La vera sfida è ritrovare il coraggio di vivere ciò che è nostro». Tre gli aspetti di tale sfida: «La quotidianità giovanile da recuperare, attenta ai ritmi della vita e ai suoi passaggi perché il desiderio dei giovani è di avere un’esistenza piena. Secondo, ci chiedono di tornare a essere comunicativi e dobbiamo avere l’audacia di rivendicare la Grazia che ci appartiene. Terzo, edificare una Chiesa aperta ai giovani, ma unita, che non li isoli. Sarà importante non affidare tutto a un documento, ma operare scelte significative e concrete. Il momento della restituzione di quanto ci donerà il Sinodo è il più delicato».
Don Paolo Arienti di Cremona ricorda il Sinodo dei Giovani vissuto due anni fa dalla sua Diocesi: «Un’esperienza bella e difficile che ci ha messo in gioco. Se è vero che cambiano la cultura e la società, abbiamo bisogno di abbozzare qualche sperimentazione non arbitraria o folle. Qual è la nostra posizione? Quale Chiesa vogliamo offrire ai giovani, ma anche in senso più generale? Speriamo che il Sinodo riesca a entrare nel non detto dell’irrilevanza della fede nel mondo giovanile, andando al di là degli slogan. A volte scriviamo documenti bellissimi, ma già morti perché non pongono al centro l’evangelizzazione. Siamo poveri di categorie interpretative».
Sulla necessità di investire molto sui sacerdoti che accompagnano spiritualmente i giovani con una richiesta rivolta ai Vescovi, si sofferma don Enrico Bastia della Diocesi di Lodi, al cui interno pure è stata condotta un’indagine sul mondo giovanile in vista del Sinodo. «Per essere un segno nel mondo e non solo nei nostri ambienti, quali strade percorrere?» Il riferimento è al ruolo educativo cruciale dell’oratorio.
Per Milano parla don Massimo Pirovano: «Si deve reagire a uno scoraggiamento che, forse, è fisiologico. Bisogna chiamare alla speranza, andando oltre lo schema del “noi- loro” e promuovendo l’“insieme-verso”».
Don Davide Rustioni richiama il dialogo sviluppatosi in Diocesi di Pavia tra la Pastorale giovanile, l’Università e le associazioni sportive: «Mettiamoci in campo ricreando relazioni tra noi. Offriamo la testimonianza viva come linguaggio nuovo».
Ultimo, don Riccardo Campari (Vigevano) riferisce di un Gruppo pilota impegnato nelle tematiche della gioventù «che ha fatto riscoprire le relazioni anche tra noi». Una la proposta: «Lavorare sui giovani certo, ma anche sui sacerdoti. Permettiamo ai preti di fare i preti, di pendersi cura». L’appello è anche a entrare meglio nella virtualità come strumento privilegiato della comunicazione giovanile.
Suor Simona, suora di Maria Ausiliatrice, sottolinea: «Speriamo nella gioia che i giovani possano vedere nel Sinodo e nel post dell’assise, una gioia contagiosa».
Infine monsignor Gervasoni, ricorda la positività e il ritorno avuto dal lavoro preparatorio: «È il Sinodo dei Vescovi, e da Vescovi, vogliamo ascoltare avendo a cuore i giovani. La questione della vocazione, fondamentale, conduca alla riflessione sull’universale antropologico che viene posto dalla vita in questa epoca di trasformazione».
L’Arcivescovo conclude con «ciò che, al Sinodo, metterei in primo piano e vorrei sempre tenere presente: Dio c’è e si prende cura di questa generazione giovanile, attirando tutti a sé. Parto da una fiducia radicale. Facciamo quanto dobbiamo interrogandoci nel presupposto che Dio ha mandato suo Figlio come attrattiva universale. Non siamo operatori pastorali di un progetto per ottenere dei risultati, ma siamo qui perché attratti. Occorre una realistica disponibilità: non è così rilevante la statistica e forse non è possibile arrivare a tutti, ma quello che dirò nell’assemblea è che l’oratorio è aperto a tutti, anche ai ragazzi che, magari, vengono da luoghi lontani».