Giovedì 24 gennaio saranno quarant’anni dalla morte di Giancarlo Brasca, avvenuta a Roma nel Policlinico Gemelli, dove era ricoverato da sette mesi. Alle 12.30, nella cappella del Sacro cuore dell’Università Cattolica (largo Gemelli 1, Milano) sarà celebrata una Messa di suffragio.
Brasca era nato a Mezzago (Diocesi e provincia di Milano) il 1° agosto 1920. Gli studenti che frequentano le diverse sedi dell’Università Cattolica e probabilmente non pochi dei docenti non ricordano questo nome. Eppure il contributo di Giancarlo Brasca è stato decisivo all’Università Cattolica e in particolare alla Facoltà di medicina e al Policlinico di Roma.
Diciottenne, entra nell’ateneo come studente di filosofia, ma il rettore padre Agostino Gemelli lo sottrae ai suoi amori giovanili – musica e filosofia – per orientarlo al lavoro amministrativo, prima nella biblioteca e poi come Direttore amministrativo dal 1971 fino alla morte.
Uomo delle istituzioni che serve con dedizione, ma al tempo stesso uomo aperto al nuovo che si andava preparando: negli anni 1943-44 presta la sua opera nel rischioso lavoro dell’Ufficio falsi creato da padre Carlo da Milano e dal professor Ezio Franceschini, proprio accanto alla Basilica di Sant’Ambrogio, per i partigiani e i renitenti alla leva.
L’8 settembre 1945 Brasca viene accolto tra i Missionari della Regalità di Cristo, Istituto secolare voluto da padre Gemelli. Uomini e donne che si dedicavano al Regno di Dio, al Vangelo, restando nel lavoro, nelle responsabilità pubbliche, nella propria famiglia. Brasca riconoscerà che il tratto della personalità di padre Gemelli, che lo aveva maggiormente affascinato, era l’ideale di un cammino di santità attraverso il lavoro. In questo Gemelli era fedele seguace di Francesco d’Assisi, il quale voleva che i suoi frati lavorassero non nella pace operosa del monastero, ma con gli altri uomini, condividendo il lavoro di tutti nel cuore della società. Un’intuizione, questa, che diede vita nel secolo scorso, in Francia, all’esperienza dei Preti operai.
Pur lavorando dentro le solide mura dell’istituzione, Brasca aveva occhi per il mondo in preda al cambiamento. Dal 1958 al 1964, gli anni dell’episcopato di Giovanni Battista Montini, Brasca fu presidente diocesano dell’Azione cattolica, promotore di una singolare, per quei tempi, attenzione per le periferie e per la formazione dei lavoratori. I problemi pastorali delle periferie, il dialogo con il mondo operaio, l’attenzione per le istanze del dissenso giovanile, questo vario e vasto mondo che si muoveva al di fuori dai bastioni rassicuranti delle istituzioni trovava in Brasca un interlocutore intelligente e disponibile. Era, a un tempo, rigorosamente dedicato all’istituzione, l’Università cattolica soprattutto, e capace di leggere i segni dei tempi, il nuovo che tentava di farsi strada. Diceva: «I segni dei tempi sono una mentalità, un atteggiamento, un metodo per la definizione concreta dei rapporti Chiesa-mondo, e quindi dei rapporti tra storia della salvezza e storia universale. Oggi si comprende che le due sono strettamente unite, perchè la storia della salvezza è il fermento divino all’interno dell’unica massa della storia».
Sono passati molti anni, ma non dimentico alcuni incontri promossi da Brasca in quella che allora era la Domus Nostra, accanto all’Università. Ci ritrovavamo, persone diverse per competenze e sensibilità politiche e spirituali, per un dialogo informale e riservatissimo.
Nel 2009 nel trentennale della morte di Brasca, il cardinale Carlo Maria Martini, allora arcivescovo emerito di Milano, scriveva: «È vero che i nostri anni non sono più quelli di Giancarlo Brasca. Eppure la sua passione per il Vangelo, la sua lucida intelligenza nell’avvertire le nuove situazioni che la testimonianza cristiana doveva affrontare, la sua dedizione senza risparmio al servizio della Chiesa, fanno di lui, laico per il Vangelo, un testimone autorevole che ancor oggi può stimolare il nostro cammino».