«Mi rivolgo a voi, generazione degli inizi, per convincervi che siete all’inizio. Ci sono quelli che vogliono convincervi che siete alla fine, epigoni di un disastro, sopravvissuti di una umanità stanca, sterile, egoista, infelice. Ci sono quelli che aprono bocca solo per fare l’elenco dei problemi e dei mali che incombono, solo per informarvi del numero dei morti, dei suicidi, dei profughi e dei debiti; che vogliono convincervi che siete destinati al nulla e che vi conviene stare in casa, da soli, stare fermi per sopravvivere. Mi rivolgo a voi per dirvi che Gesù vi chiama: c’è una via da percorrere, la migliore di tutte e porta lontano accompagnata dai santi».
Più di un invito, è una carica di speranza quella che l’Arcivescovo rivolge ai 18-30enni provenienti da tutta la Diocesi e ai 65 catecumeni 2022 che, finalmente dopo 2 anni, tornano a gremire il Duomo per la Veglia “in Taditione Symboli”, nella quale viene consegnato loro, appunto, il simbolo della fede, il Credo. Un momento da sempre atteso nella nostra Chiesa che, in questi giorni di guerra e dolore, si arricchisce anche della preghiera, condivisa al termine, con i fedeli ortodossi e russi del Patriarcato di Mosca riuniti nella loro chiesa di San Vito al Pasquirolo, raggiunta dall’Arcivescovo e dai giovani con una breve processione.
I gesti simbolici
Non un gesto solo simbolico, questo, ma come i molti altri che vengono compiuti durante la celebrazione, ricco di un alto significato di fede, quest’anno guidato dalle figure dei due futuri beati ambrosiani Armida Barelli e don Mario Ciceri e di Charles de Foucauld, che sarà proclamato santo il 15 maggio prossimo. Le loro biografie, infatti, attraverso la lettura di attori, le testimonianze, le ricostruzioni storiche, precedono l’inizio della Veglia. Accanto all’Arcivescovo, i tre ausiliari, monsignor Paolo Martinelli, monsignor Giuseppe Vegezzi e monsignor Luca Raimondi, il vicario episcopale di Settore, don Mario Antonelli, i responsabili della Pastorale giovanile, don Marco Fusi, e del Servizio Catechesi e Catecumenato, don Matteo Dal Santo, molti altri sacerdoti impegnati nel contesto formativo dei ragazzi.
3 i richiami specifici in cui si articola la “Traditio”: il battesimo, espresso attraverso l’aspersione dell’Assemblea con l’acqua benedetta – per cui il vescovo Mario percorre l’intera navata centrale della Cattedrale – la Parola e l’Eucaristia, vissuta nell’adorazione del Santissimo Sacramento prima della consegna del Credo. Bella anche l’idea di srotolare 3 drappi rossi, durante le letture, per collegare l’altare maggiore con le immagini degli altrettanti futuri beati e santo.
Non manca, a conclusione, un gesto di carità in accordo con Caritas ambrosiana: l’invito a donare il corrispettivo della cena a favore delle popolazioni che stanno soffrendo a causa della guerra. Fondi che verranno utilizzati per sostenere il progetto, «Centro aggregativo per minori rifugiati» (leggi qui un approfondimento) realizzato a Bălti in Moldova da Missione sociale Diaconia, come spiega don Fusi.
La testimonianza di Alì, catecumeno
Per il primo momento porta la sua testimonianza un catecumeno, Alì, egiziano, 20 anni che prenderà il nome di Luca, arrivato a Galliate Lombardo, come minore non accompagnato, dopo essere stato messo su un barcone dalla nonna. «È nato in me, vivendo in parrocchia, il desiderio di scoprire qualcosa di più e la richiesta di partecipare alla vita nella comunità cristiana», racconta. Da qui «la ripresa del gusto per una vita che pareva già perduta» e la scelta del battesimo.
Insomma, un esempio di quella generazione “agli inizi” in molti sensi, verso la quale esprime il suo auspicio l’Arcivescovo.
L’omelia (leggi il testo integrale)
«Mi rivolgo a voi catecumeni che riceverete il battesimo per iniziare una vita nuova, a voi giovani che siete chiamati a essere l’inizio di un’epoca inedita del mondo, che uscite a stento dal tunnel inquietante della pandemia e vi avviate a scrivere la vostra storia sotto la minaccia delle bombe e di altri temibili disastri. La generazione degli inizi si sente talora impaurita e complessata da troppe aspettative». Che fare, allora per portare molto frutto, come si legge nel Vangelo di Giovanni, 15, appena proclamato? Occorre, camminare con fiducia sulla via del Signore, come fecero Barelli, De Foucauld e don Ciceri.
«Armida Barelli è stata una personalità che ha segnato la storia d’Italia e della politica, impegnando le donne a entrare nelle responsabilità di votare e di essere votate per essere protagoniste della democrazia italiana; Charles De Foucauld è stato un piccolo fratello morto ammazzato, impotente, dopo aver vissuto in una solitudine ignorata da tutti tra le sabbie del deserto. Mario Ciceri è stato un prete come tanti di un paese come tanti». Esempi, i loro, non lontani o inaccessibili: «Se anche vi consigliano di accontentarvi della mediocrità, del minimo, se anche vi suggeriscono che stare fermi sia più prudente che correre, se anche c’è qualcuno che vuole convincervi che la vera sapienza sia la rassegnazione, “desiderate ardentemente i carismi più alti”, come si legge nella I lettera ai Corinzi», scandisce il vescovo Mario, in riferimento al titolo della Veglia.
«Non dimenticatevi di Gesù che ci chiama amici e ci dimostra l’amore più grande. È l’amicizia che suggerisce di perseverare anche se si cammina nella notte. Non dimenticatevi degli amici che camminano avanti a voi, con voi e dietro e voi e di quelli che non camminano affatto: voi potete offrire l’amicizia che rende migliori».
«Ecco il molto frutto della generazione degli inizi: non ci spaventiamo se siamo spaventati: siamo amati per quello che siamo; non rinunciamo ai desideri più grandi: crediamo alle promesse del Signore; non ci dimentichiamo degli amici».
(Leggi il testo integrale dell’Omelia dell’Arcivescovo)
La preghiera per la pace con i fedeli ucraini e russi
Infine, il breve cammino percorso a piedi, dal sagrato del Duomo a “San Vito al Pasquirolo”, con alcuni giovani che portano ceri accesi e i Vescovi che hanno tra le mani le palme a indicare il desiderio di pace di tutti. Presenti l’archimandrita del Patriarcato di Mosca a Milano, padre Ambrogio Makar, altri ministri ortodossi, il vicario episcopale di Settore, monsignor Luca Bressan e il responsabile del Servizio per l’Ecumenismo e Dialogo, il diacono Roberto Pagani, portano due brevi riflessioni, davanti alla chiesa, Elisabetta, una ragazza cattolica di Cernusco sul Naviglio e Tatiana, giovane ortodossa. «Le vostre lacrime sono anche le nostre. I gesti di solidarietà non cancellano la sofferenza, ma possono fare nascere la speranza. Affidiamo a Dio il desidero della pace», dice Elisabetta. «Sentiamo che la preghiera si riempie di gioia nella speranza: speriamo che finisca presto la guerra e che tutto risolva nel miglior modo possibile», risponde Tatiana, prima del canto del Padre nostro intonato in italiano su una melodia del compositore russo Nikolaj Rimskij-Korsakov.