Un tumore al rene rimosso e successive complicazioni (cardiologiche ed altro), dopo l’intervento, ti fanno vivere un tempo «sospeso» che segna decisamente la tua vita. Proprio in concomitanza con lo scoppio dell’epidemia. Un mese di ospedale e due di convalescenza. All’ospedale: da quante persone mi sono sentito circondato con affetto e cura. I medici, gli infermieri – che delicatezza e rispetto in certi momenti in cui sono stato bambino impotente negli aspetti più scontati della vita -, i parrocchiani – tre settimane assistito, coccolato. Mai lasciato solo neppure una notte. Quante preghiere! -, gli ex parrocchiani, i miei quattro fratelli e sorelle con i rispettivi otto nipoti.
In ospedale, l’impossibilità a fare qualsiasi cosa mi ha insegnato ad essere più paziente, a riflettere su tutti questi anni vissuti (ormai 65) un po’ troppo in un attivismo esasperato, nella presunzione di essere padrone del mio tempo, della mia salute e di tante altre cose. E poi in convalescenza. In famiglia. Nella verde Brianza. Protetto. Una sorella, un cognato, una nipote (tra l’altro laureanda in quei giorni), un’altra nipote, di cui ho da poco celebrato le nozze, che frequentemente faceva da infermiera e pure assistente nelle mie ignoranze tecnologiche ed elettroniche. Quello della famiglia un mondo che ho potuto sanamente riscoprire nelle sue dinamiche vere. Mi ha fatto bene condividere pasti, discussioni familiari e socio-politiche, preoccupazioni per il posto del lavoro e la cassa integrazione in un contesto di mono reddito e del come tirare la fine del mese con le diverse spese, compresa la sostituzione della lavatrice «defunta» (mannaggia, piove sempre sul bagnato!), la cura del piccolo giardino e orto.
Ho vissuto la quarantena con l’intenzione di restituire a me e alle persone che avrei reincontrato, il tempo rubato dal correre frenetico precedente. E allora: preghiera, studio della Parola di Dio (Martini, audio conferenze da Bose). Con una relativa tranquillità che mi ha provvidenzialmente spinto a delle poco conosciute profondità nell’imparare a gustare, ad assaporare meglio la vita, la fede e il sacerdozio. Che bello! Che grazia!