Prima la partecipazione alle Settimane Sociali (Trieste, 3-7 luglio), quindi la laurea in giurisprudenza. Questo il programma che attende nei prossimi giorni Federico Vivaldelli, tra i dieci delegati della Diocesi di Milano all’appuntamento di Trieste (vedi sotto la delegazione ambrosiana).
Proprio in virtù della sua specializzazione in Diritto costituzionale, Federico è tra i giovani che hanno fatto da guida ai loro coetanei, negli appuntamenti promossi dalla Pastorale giovanile, per conoscere qualcosa dell’architettura europea, in vista delle recenti elezioni. Un’esperienza che potrà raccontare a Trieste, nel gruppo dedicato a «Giovani, Educazione e Formazione» a cui prenderà parte. Proprio il tema della partecipazione, al centro di questa cinquantesima edizione delle Settimane Sociali, ha subito sollecitato l’interesse di Federico, coinvolto anche in quanto presidente uscente della Fuci (la Federazione degli universitari cattolici) diocesana. «Ma naturalmente partecipiamo rappresentando tutta la Diocesi», precisa.
Il percorso di questi mesi insieme agli altri delegati è servito per mettere a fuoco il tema. Perché, riconosce, «partecipazione è certamente una bella parola, che però può essere anche evanescente». E d’altra parte, se bisogna prendere atto di come, oggi, «la partecipazione si declini immediatamente attraverso la forma della comunicazione, e quindi attraverso l’uso dei social», spiega, c’è però anche una ricchezza di esperienze, a volte non raccontate. Tra quelle che ha conosciuto negli scorsi mesi, Federico ricorda in particolare il progetto “Imagine” delle Acli di Bergamo, per promuovere iniziative culturali organizzate dalle varie associazioni giovanili. «Chi vincerà il bando riceverà non solo un contributo economico – sottolinea -, ma sarà anche affiancato (dagli esperti delle Acli) per un supporto concreto nella realizzazione delle iniziative».
Si tratta quindi di partire dal basso? Proprio la domanda su come declinare la partecipazione sociale, e politica, è al centro delle prossime Settimane Sociali, in anni in cui «si assiste a una stanchezza che non lascia spazio per la vita comunitaria», come si riflette nel documento preparatorio ai lavori. E in cui i cattolici, trovando pochi ambiti in cui poter essere incisivi, sembrano aver privilegiato il volontariato, o l’impegno in ambiti comunque meno esposti al dibattito pubblico. «Effettivamente mi sono reso conto che la partecipazione passa da un impegno nel piccolo, nel quotidiano», conferma Federico. Certo, «sembra sempre il solito piccolo passo, si vorrebbe incidere di più – ammette -, ma, d’altra parte, è proprio la disponibilità a questo primo passo ciò che per prima cosa possiamo coltivare».
Per i credenti, però, Vivaldelli rivendica anche una differenza di stile: «Nelle relazioni quotidiane, al lavoro, possiamo testimoniare una speranza. È l’impegno del nostro tempo: essere seminatori di speranza, di fronte alle incertezze che ciascuno vive». E come fare per riportare l’interesse verso la politica? «Un primo livello di partecipazione su cui lavorare potrebbe essere quello dell’informazione – auspica -: si tratta di trovare le modalità per portare anche i più disinteressati, i più lontani, i più disillusi a informarsi su quanto gli sta intorno. In un prima “forma di cura” verso la comunità».