Attingendo per la prima volta solo a fondi propri, la Fondazione San Carlo ristrutturerà entro febbraio 33 alloggi di proprietà del Comune di Milano nel quartiere Lorenteggio (dati in comodato per 20 anni). Sono gli appartamenti inseriti nell’iniziativa “Abito dunque sono” (più nota come “Le case del Papa”), che vanno ad aggiungersi ai 55 della prima tranche, siti a Niguarda e recuperati nel 2017 quale segno concreto per la visita di papa Francesco a Milano, e ai 18 resi disponibili a Turro l’anno scorso. Come è stato annunciato all’odierno convegno “Casa e lavoro: da situazione a occasione”, tenutosi nella sede della Caritas per i 25 anni della Fondazione San Carlo, si arriva dunque a un totale di 106 unità – 1600 le famiglie attualmente in lista di attesa -, assegnate, ad affitto calmierato, con un bando pubblico.
Con questo fiore all’occhiello, alla presenza dell’Arcivescovo si parla di passato, di presente e soprattutto di futuro, per quanto riguarda l’impegno della Fondazione, già evidente nei numeri: 277 alloggi gestiti, 2100 persone formate e avviate al lavoro, 18 mila persone ospitate nei pensionati con i loro 166 posti letto. E poi la gestione del Fondo Diamo Lavoro e l’azione su molti altri fronti del disagio, come la tratta e lo sfruttamento delle donne.
L’intervento dell’Arcivescovo
Di prospettive di speranza, di un ruolo ispirativo, per continuare a porsi domande sui bisogni nel contesto dell’attività concreta di aiuto, e del mettersi a servizio che deve qualificare l’azione dei cristiani, parla l’Arcivescovo nelle conclusioni.
«Non vorrei fare una proclamazione di diritti – diritto alla casa o al lavoro – o di rivendicazione che, talvolta, diventa aggressione e rancore. Abbiamo la necessità di interpretare i fenomeni. Per il Vescovo è doveroso parlare di ispirazione, offrendo stimoli per cammino promettente e riuscendo a dire una parola a chi si pone domande di fronte al bisogno. Occorre accogliere quest’ultimo come un’invocazione e non solo come una situazione: un fratello o una comunità che ha necessità, è un fratello e una comunità che chiamano. Bisogna decifrare il bisogno per capirne il significato». Annunciare la speranza che, per l’Arcivescovo, «vuole dire che l’orizzonte in cui dobbiamo porci non è solo spaziale, in un territorio, ma si qualifica come attenzione e responsabilità verso le generazioni con un orizzonte temporale che interpreti un futuro più dilatato». Il riferimento è a Evangelii Gaudium di papa Francesco che definisce la bellezza delle città che favoriscono il riconoscimento dell’altro: «Raccomando alla Fondazione di proseguire, nell’intuizione primigenia, con la gioia di contribuire a disegnare tutto questo, continuando a fare, ma anche a interrogarsi. Sento spesso l’espressione “mettere al centro la persona”, ma nel termine persona vedo un rischio di astrazione e di individualismo. Metterei, invece, al centro la famiglia e una più vasta fraternità».
E, ancora, esiste un altro «genere letterario», con cui la Chiesa può affrontare tali temi: «La dichiarazione del servizio con quell’“eccomi” di una comunità cristiana che non si lamenta o rimprovera, ma che si fa avanti con iniziative concrete, intelligenti ed efficienti, come proporre case rispondendo al bisogno complessivo». Un «eccomi» disponibile a incontrare, da declinare «con un insieme di voci, promuovendo sinergie, collaborazioni con la pubblica amministrazione, la politica locale e regionale per scelte strategiche, urbanistiche e amministrative, orientate a dare alla città e al territorio, il volto di una convivenza desiderabile, rassicurante e accogliente». Un «eccomi di gente che abita la città e intende praticare il gesto minimo e la relazione buona che dà vita al buon vicinato e alla fraternità. Qui è la singola persona o famiglia – non si può delegare – che deve farsi avanti». «Eccomi» che deve venire anche dal mondo del volontariato, «un punto-chiave specie di fronte alla diminuzione numerica e dell’invecchiamento dei volontari», rendendolo attraente per chi si vuole impegnare». «C’è una promessa credibile per cui vale la pena mettersi in cammino ed essere disponibili al servizio per il solo fatto che siamo uomini e cristiani e perché sentiamo che l’umanità è una vocazione alla fraternità».
Il convegno
Parole che hanno avuto quasi il senso di una risposta immediata ad alcune sollecitazioni venute dal convegno moderato da Giorgio Gualzetti, direttore della Fondazione, il cui presidente Daniele Conti sottolinea: «Il 3 dicembre 1994 (esattamente 25 anni fa), nel convegno fondativo dedicato agli immigrati a Milano, il cardinale Martini ci invitava, come progetto pilota, a essere una realtà utile a tutti. Oggi come allora, ci sono parole che tornano: accompagnamento, accoglienza, inserimento sociale». Sia Conti sia Luciano Gualzetti – dal 2001 al 2016 presidente della San Carlo, oggi alla guida di Caritas Ambrosiana – evidenziano, in questa logica, l’importanza fondamentale del legame con la Diocesi e, appunto, la Caritas.
Da esperti come Alessandro Maggioni (presidente del Consorzio Cooperative Lavoratori Milano) e Matteo Cabassi (amministratore delegato di Brioschi Sviluppo Immobiliare e vicepresidente di Assoimmobiliare) – seppure con accenti diversi – arrivano suggestioni e indicazioni per un cammino da compiere necessariamente insieme, allargando gli orizzonti dalla città. Realtà piccola, Milano, se chiusa nelle sue mura, mentre occorre «rivalutare l’hinterland e la città metropolitana». Molto interessante, per esempio, che, tra i trend in corso, Cabassi noti: «Oggi il tema delle case per studenti è sul tappeto, mentre solo l’anno scorso non esisteva».
Così anche per il sociologo di Aaster Aldo Bonomi: «Bisogna pensare il territorio e produrre identità di relazione. Ciò porta ad affrontare il tema della comunità aperta che è quella da cui parte la Fondazione San Carlo. Dobbiamo allargare la comunità di cura, che non è fatta solo dal volontariato o dalle associazioni, ma dal coinvolgimento con le forme di rappresentanza, come il sindacato, contaminando i soggetti portatori di interessi e seminando fiducia. Milano è attrattiva come concezione del mondo – ci sono la creatività e il grande cambiamento -, ma poi c’è la vita nuda: mangiare, abitare, vestirsi. La casa e il lavoro sono la rappresentazione delle contraddizioni della ipermodernità di questa città. La comunità di cura è proliferante, per cui sono tante le oasi, ma il meccanismo della solidarietà non è automatico e, per attraversare il deserto, bisogna chiedersi come “fare la carovana”. Bisogna fare alleanze».
Per l’assessore comunale alla Casa e Politiche sociali Gabriele Rabaiotti, il discrimine è il lavoro: «È vero che non tutti possono farcela da soli, ma il nostro impegno è far entrare chi può come protagonista attivo nel riscatto occupazionale. Lavoriamo insieme in un percorso che non porti le persone solo all’assistenza, ma in un campo di promozione umana. Milano è una città cara (per gli affitti e il costo della vita), ma anche ricca: dobbiamo sensibilizzare questa sua anima ricca».