Prevenire è meglio che curare. Vale per la salute, ma anche per l’educazione dei giovani all’affettività. Lo si evince dalle parole di Francesca Rosellini, operatrice nelle scuole e psicologa clinica per conto della Fondazione Guzzetti, che gestisce sette consultori privati sparsi su tutto il territorio milanese e che lavora proprio sui due fronti: «Il nostro è un servizio duplice – spiega -: da una parte di educazione all’affettività per le scuole elementari, medie e superiori, quindi in qualche modo un servizio di prevenzione dei possibili disagi, e dall’altra un servizio di cura vera e propria, necessario quando a livello relazionale qualcosa non ha funzionato».
«Nei nostri progetti scolastici – spiega ancora Rosellini – il focus è sempre l’allenamento all’empatia. Alle elementari cerchiamo di lavorare sull’idea che esiste un mondo interno a tutti e che quindi ogni nostro gesto ha un effetto su chi ci sta accanto. Ecco perché lavoriamo tantissimo sul gruppo classe, che è funge da “specchio”: i bambini vedono cosa succede negli altri quando dicono o fanno certe cose. Inoltre il gruppo è un buon mezzo per far esperienza delle cose, piuttosto che sentire spiegazioni. Usiamo molto anche le storie, che permettono di mettere un po’ di distanza tra sé e le situazioni».
Per quanto riguarda i temi, alle elementari si lavora sulle emozioni e sui conflitti: «L’idea – continua Rosellini – è che i bambini riconoscano le emozioni, che non se ne vergognino, nemmeno di quelle che la società considera “tabù”, come tristezza e rabbia, che imparino che si possono vivere, ma che vanno regolate. E poi il conflitto: spieghiamo che si può sperimentare il contrasto anche tra amici e nel gruppo e non è detto che questo interrompa la relazione. Lavoriamo anche sulla richiesta del permesso: capire quando l’altro ha piacere che io faccia qualcosa insieme a lui e quando no. Una competenza molto utile quando si diventa più grandi».
E proprio parlando di più grandi, Rosellini spiega che alle scuole medie il focus è sul cambiamento fisico, emotivo e cognitivo, che occupa gran parte del vissuto in quella fascia di età: «Li accompagniamo a nominare i cambiamenti, così che, se ci sono fatiche, loro ne possano parlare con i genitori, gli educatori ed eventualmente gli specialisti, insomma con gli adulti e non solo tra pari. In terza media c’è poi un’attenzione specifica sulla sessualità: affrontiamo il tema della gradualità, del consenso, la conoscenza corpo, anche con l’ausilio di un’ostetrica».
Il tema della sessualità diventa centrale alle superiori, con un’attenzione ancora più marcata sulla relazione: «Il nostro percorso educativo sulla sessualità per le scuole superiori comincia a lavorare anche sulla gestione della relazione di coppia. Ai ragazzi spieghiamo inoltre che possono appoggiarsi ai consultori e che, in generale, il confronto con gli specialisti è meglio che cercare le risposte sul web».
Ed è proprio il sostegno degli specialisti lo specifico del servizio clinico offerto in Fondazione: «Il percorso clinico che proponiamo ai ragazzi che ci vengono inviati, spesso dagli sportelli scolastici ma non solo, prevede 15-20 incontri gratuiti con la particolarità di prendere in carico anche i genitori, chiamai a diventare alleati del percorso terapeutico». Quali sono i bisogni dei ragazzi che emergono di più? «Vediamo tanti sintomi di ansia e depressione legati alla non accettazione nei gruppi, spesso per via dell’aspetto fisico; vediamo ragazzi che non si sentono accettati per il fatto di essere omossessuali. Più in generale c’è un tema di fatica a trovare la propria identità: chi sono e chi desidero essere da grande».