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Sirio 15 - 21 luglio 2024
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Milano

Festa delle Genti, «Folla immensa» al Giambellino

Il 19 maggio l’evento in concomitanza con la Pentecoste, quest'anno nella parrocchia del Santo Curato d'Ars. Don Vitali, responsabile della Pastorale dei migranti: «La vera sfida oggi è vivere un'unica Chiesa dalle diverse culture, senza mortificarle»

di Stefania CECCHETTI

14 Maggio 2024
La Festa delle genti dello scorso anno a Rozzano (Agenzia Fotogramma)

Pentecoste uguale Festa delle Genti. Il binomio, ormai consolidato in Diocesi, torna domenica 19 maggio, nella parrocchia del Santo Curato d’Ars (via Giambellino 127, Milano). Alle 10.30 la Messa con l’Arcivescovo, a seguire il pranzo e la festa, a partire dalle 13.30 (vedi qui la locandina). Un momento colorato e festoso, ma soprattutto un’occasione preziosa per radunare le comunità di cristiani cattolici migranti della Diocesi: filippini e latino-americani (i più numerosi), ma anche cinesi, coreani, srilankesi, eritrei, copti, libanesi, albanesi, polacchi; e poi, rumeni e ucraini di rito latino e di rito bizantino e le comunità di francofoni e di anglofoni. Alla vigilia della Festa, abbiamo interpellato don Alberto Vitali, responsabile diocesano della Pastorale dei migranti.

Qual è il tema della Festa delle Genti di quest’anno?
Il tema è «Vidi una folla immensa», tratto da un versetto dell’Apocalisse, quando Giovanni, sull’isola di Patmos, ha la visione di questa folla immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, lingua e popolo. L’idea di fondo è di ricordare il progetto definitivo di Dio sulla storia degli uomini: che cioè l’umanità sia una sola grande famiglia. Se è così, allora le migrazioni non sono un accidente storico, ma rispondono a un preciso progetto di Dio. Certo, ci sono le motivazioni politiche ed economiche, ma noi sappiamo che Dio può scrivere dritto anche sulle righe storte della storia.

In un momento così turbolento a livello mondiale ci sarà un focus particolare sulla pace?
Certo, e non solo perché alla Festa avremo presenti la comunità ucraina e libanese, interessate dai conflitti più conosciuti. Ci sarà per esempio anche la comunità eritrea, che soffre al proprio interno per una dittatura che di fatto ha chiuso le frontiere. Ci sono molti Paesi che vivono forme diverse di violenza, non solo guerre: dittature, persecuzioni politiche, narcotraffico. L’invocazione alla pace è molto concreta, perché parecchi migranti vivono qui con la costante preoccupazione dei familiari rimasti a casa in situazioni molto pericolose. Abbiamo addirittura dei cappellani che hanno parenti in guerra come militari.

La Festa si terrà nella parrocchia del Santo Curato d’Ars. Come mai questa scelya?
Il quartiere Giambellino è sicuramente una delle zone a più alta densità di migranti della città. La stessa parrocchia, e tutta la Comunità pastorale di cui fa parte, si è spesa parecchio sull’accoglienza, tanto che avevano già programmato una Festa delle Genti a livello locale, che si svolgerà in questi giorni e che culminerà ospitando la Festa diocesana.

Quale lo stato dell’arte dell’accoglienza migranti in Diocesi dal punto di vista pastorale?
Siamo nella fase attuativa del Sinodo minore Chiesa dalle genti. Diciamo che rimane vera e urgente la dimensione dell’accoglienza, in quanto ci sono migranti che continuano ad arrivare nella nostra Diocesi. Ma la vera sfida, ormai, si gioca sul come vivere un’unica Chiesa dalle diverse provenienze e dalle diverse culture, senza mortificarle, ma cercando di valorizzare ciascuno nella propria originalità e identità. Un po’ come un tessuto colorato, formato da fili di colori diversi, che è molto più vivace e ricco di un tessuto monocolore.

Siamo alle porte del rinnovo dei Consigli pastorali parrocchiali (vedi qui il Percorso ecclesiale dedicato). Maurizio Amborsini, intervistato sul mensile diocesano Il Segno, incoraggia la partecipazione dei migranti a questi organismi di rappresentanza. Cosa ne pensa?
È una bella cosa, ma a condizione che il migrante eletto non sia percepito come «la quota etnica», per sentirsi a posto con la coscienza, senza che questo corrisponda a una partecipazione vera dei migranti nella vita della parrocchia. Che perlomeno sia il segno di un’aspirazione e di un bisogno della comunità cristiana di cominciare ad ascoltare la voce ai migranti, anche se fino a quel momento non è riuscita a farlo.