È ormai una consuetudine che a Pentecoste si celebri la Festa delle genti, occasione molto attesa che raduna tutti i migranti che vivono sul territorio della diocesi. Anche quest’anno niente festeggiamenti, causa coronavirus, ma solo la celebrazione del Pontificale in Duomo, domenica 23 maggio alle 11, con l’arcivescovo Delpini e tutte le 25 comunità di migranti della Diocesi. Ne parliamo con don Alberto Vitali, responsabile dell’Ufficio per la pastorale dei migranti.
C’è un tema particolare quest’anno?
Non c’è un tema specifico, ma la Festa sarà l’occasione per presentare la nuova Consulta diocesana dei migranti. Già prevista dal Sinodo 47esimo, nel ’94, e più recentemente dal Sinodo minore Chiesa dalle genti, la Consulta sarà composta da un presbitero e due laici per ciascuna delle sette Zone pastorali, dal responsabile e dalla segretaria dell’Ufficio per la pastorale dei migranti, da un rappresentante dei cappellani etnici e dalla moderatrice della Consulta Chiesa dalle genti. Da notare che i migranti saranno presenti nella Consulta, non come rappresentanti delle proprie comunità etniche, ma come fedeli delle diverse Zone pastorali, quindi come parte integrante del tessuto pastorale ambrosiano.
Quali i compiti della nuova Consulta?
Aiutare la Diocesi a leggere la presenza dei migranti nel territorio diocesano secondo la loro reale distribuzione, che è molto disomogenea, e secondo i loro modi diversi di vivere la fede e di celebrarla. Inoltre, la Consulta dovrà contribuire a realizzare équipe zonali di pastorale dei migranti, che attualmente sono presenti solo nella Zona III e IV, e in generale affiancare le parrocchie, le comunità e i Decanati che vogliano realizzare iniziative di pastorale dei migranti nelle loro realtà. Infine, la Consulta si metterà a disposizione dei Decanati, affiancando la Consulta per la Chiesa dalle genti nella realizzazione delle Assemblee sinodali decanali.
Come hanno vissuto i migranti questo anno così difficile per tutti?
Da una parte sono stati i più colpiti dalla pandemia, perché hanno meno garanzie, anzitutto dal punto di vista dei diritti sindacali. Molti lavorano in nero o con contratti a tempo determinato e hanno subìto una serie di imposizioni da parte dei datori di lavoro per la paura del contagio. So di badanti costrette a rimanere nelle case in cui lavorano 24 ore su 24, per evitare il contagio, continuando a essere pagate solo per 8 ore, o costrette a non frequentare più la Messa, considerato un luogo a rischio, pena il licenziamento. D’altra parte, però, bisogna dire che spesso le persone migranti sono più resilienti, date le difficoltà che hanno dovuto subire nella vita. Inoltre, i sistemi alternativi alla presenza escogitati da tante parrocchie hanno offerto nuove possibilità di partecipazione proprio ai migranti. La badante, che di solito alle 21 è impegnata a mettere a letto l’anziano che assiste, ha potuto per la prima volta seguire gli incontri di catechesi caricati sul sito parrocchiale, magari in differita.
Non tutto il Covid vien per nuocere…
Sì, anche nella pastorale giovanile a seguito del Covid sono nate molte belle iniziative, come la collaborazione con giovani migranti che avevano frequentato qui i nostri incontri e poi sono tornati nei loro Paesi di origine. Nel mese di maggio, per esempio, con il gruppo che seguo di giovani sudamericani della Diocesi, abbiamo registrato i nove incontri della novena a partire da testi di Carlo Carretto e don Tonino Bello, uno di questi è stato registrato in Messico e un altro in Salvador da alcuni giovani che si sono coinvolti nella nostra pastorale. È bello questo dialogare tra giovani della stessa età, da una parte all’altra del mondo, in una sorta di pastorale “trasversale”. Proprio quella che sognava il Sinodo Chiesa dalle genti.