Martedì 25 marzo, solennità dell’Annunciazione del Signore, come tradizione, l’Arcivescovo celebrerà alle 10 la Santa Messa nella Festa del Perdono nella chiesa di Santa Maria Annunciata all’interno dell’Università degli Studi (sede della Cappellania universitaria e parrocchia del vicino Policlinico), di cui è parroco. Dopo la celebrazione, accompagnato dai vertici della Fondazione Ircss Ca’ Granda Ospedale Maggiore Policlinico, visiterà il cantiere del nuovo Padiglione Sforza, dedicato alle degenze con i suoi oltre 800 posti letto, progettato per essere un edificio tecnologico e all’avanguardia per la cura e l’assistenza dei pazienti di tutte le età, ma anche una bella e funzionale opera architettonica.
«Finalmente il nuovo ospedale si vede, dal momento in cui, anziché esserci un enorme cratere, si è elevata questa grande struttura che prende la forma ideale e reale di un ospedale nuovo che cresce al centro della città», spiega don Giuseppe Scalvini, cappellano del Policlinico con don Marco Gianola, don Norberto Gamba e don Mario Cardinetti. Nella cappellania sono presenti anche il diacono permanente Alberto Lucchetti Cigarini, un’ausiliaria diocesana e le suore di Maria Bambina.
Come vive – e vivete voi tutti della Cappellania – il vostro impegno?
Talvolta basta un saluto ai pazienti e agli operatori, camminando per i corridoi, per riconoscere l’impegno che mettiamo nella nostra giornata. Si vede che c’è tanta simpatia attorno a noi, anche perché di fatto non è mai venuta meno una continuità di presenza nata insieme all’ospedale stesso: siamo riconosciuti e accolti, cercando di portare avanti il programma di una presenza che intende essere di conforto per le persone ricoverate e di accompagnamento per il personale. C’è una bella disponibilità reale di dialogo, utile a fare quei passi avanti che ci possono permettere di migliorare la qualità della nostra azione, motivata dalla volontà di essere accanto alle persone che qui vengono assistite e a coloro che, con grande abnegazione, svolgono il loro lavoro prendendosi cura di chi ha bisogno.

Come si svolge la giornata-tipo di un cappellano?
Alle 8 del mattino la Messa è normalmente concelebrata da tutti noi cappellani, dopodiché la nostra giornata è interamente a disposizione delle persone in base a programmi, perché con le religiose e il diacono ci siamo divisi i reparti da visitare. Siamo disponibili h24 laddove veniamo chiamati. Ordinariamente facciamo visite, incontri, anche con il personale, per parlare per esempio dell’accompagnamento e la preparazione al matrimonio o al sacramento della Confermazione per qualcuno di loro, o ancora semplicemente rendendoci disponibili per confessare. Certo, non sono giornate che conoscono la noia.
Come sono i rapporti con la Fondazione?
Il rapporto è cordiale, di profondo rispetto e di comprensione. Negli anni siamo andati sempre più approfondendo questo modo di relazionarsi che permette a noi di essere liberi, e quindi di esprimere in modo reale la nostra presenza, e all’istituzione di portare avanti il proprio lavoro, sempre in un clima di dialogo rispettoso capace di un confronto fruttuoso. Anche la celebrazione della Festa del Perdono, che vede la presenza istituzionale della Fondazione alla Santa Messa, è espressione di questi buoni rapporti di collaborazione reale.
Avete superato definitivamente il momento tragico del Covid?
Direi che è superato in termini temporali, ma occorrerebbe una riflessione ben più profonda e affinata su che cosa il Covid ci ha lasciato dentro e che il tempo fa, via via, emergere. Gli stress non sono mai interamente superati: bisogna sempre avere un’attenzione alla situazione delle persone, alle reazioni, per capire questa realtà, che speriamo non ritorni, e le sue conseguenze.