«Stimato e caro dottore». Già dal suo titolo, la Lettera che l’Arcivescovo ha indirizzato ai medici, dice per intero la stima e l’apprezzamento per una categoria, la cui professione si fa missione ed è «vocazione». Ma come, oggi, si può interpretare questo particolare aspetto nell’esercizio della medicina e della cura? Alberto Cozzi, presidente dell’Associazione medici cattolici italiani-Sezione di Milano, osserva: «L’Arcivescovo usa questo termine, che ha una profonda connotazione ecclesiale, rivolgendosi, in prima battuta, ai medici credenti, ma credo che, in senso ampio, lo indichi in termini più universali, ossia per tutti».
In che senso?
Ritengo che la scelta del medico travalichi la connotazione propria del credo religioso, perché è scelta di solidarietà molto esplicita verso il mondo di chi soffre, verso le persone deboli e verso, quindi, una cura che deve essere aperta a tutti gli uomini.
L’Arcivescovo parla di «prendersi cura», secondo uno dei temi oggi più dibattuti anche nel contesto clinico, ma dice qualcosa in più, chiedendo ai medici di prendersi cura di loro stessi. È una prospettiva nuova che, forse, può aiutare tra stress, pretese dei pazienti, sempre meno risorse a disposizione?
Il messaggio è veramente innovativo perché la Chiesa più volte ha espresso, nel suo magistero, anche limitandosi all’episcopato ambrosiano, molta attenzione al mondo della cura. In questo caso, però, vi è una specifica attenzione alla figura di colui che cura che deve ripensare le sue motivazioni. Oggi la medicina è molto mutata, sta accelerando vorticosamente il suo paradigma: gli scenari culturali e sociali impongono al medico maturo di ripensare il suo ruolo all’interno di questa professione e al medico giovane di trovare una collocazione che non sia soffocata dalla tecnologia e da un rapporto freddo, spesso solo mediato dalle moderne tecniche. Occorre, ora più che mai, una grande attenzione alla persona».
Nella Lettera si cita espressamente l’Associazione medici cattolici italiani…
Ci sentiamo onorati che l’arcivescovo abbia voluto richiamare un’associazione storicamente molto presente nel panorama nazionale. La nostra Sezione di Milano ha lavorato, negli anni scorsi, in modi molto belli e profondi per favorire un dialogo aperto tra credenti e non credenti su tutte le tematiche etiche, bioetiche e sulle motivazioni di fondo che devono interpellare nella pratica clinica quotidiana. Collaboriamo e operiamo con altre associazioni e ci siamo spesso confrontati con realtà diverse relativamente alle sfide e agli interrogativi inediti che si presentano ormai ogni giorno. Penso che l’Amci sia un piccolo faro per orientare i credenti, in primis, ma senza dimenticare un’apertura a tutte quelle persone che, con onestà intellettuale, vogliono contribuire al bene.