I rifugiati palestinesi hanno potuto contare sul sostegno di Caritas ambrosiana. Si tratta di 14 persone – alcuni bambini accompagnati dai loro familiari -, giunte a Milano il 5 febbraio scorso nell’ambito dell’Operazione Vulcano, che dopo l’immediato ricovero all’Ospedale Buzzi hanno beneficiato di una sistemazione in una struttura parrocchiale della città.
A occuparsi dell’accoglienza è stata la onlus Farsi prossimo, da sempre impegnata nell’assistenza di stranieri e rifugiati. Rispetto a molti altri casi, questa procedura ha richiesto un coordinamento intenso e tempestivo con il Comune di Milano. «Le Prefetture avevano la necessità di garantire la sistemazione di alcune famiglie – racconta Rosy Arricale, coordinatrice dei progetti di accoglienza di Farsi prossimo -. Lavoro da più di dieci anni nel settore degli stranieri richiedenti protezione e queste tempistiche, a livello sia di accesso in Questura, sia di inserimento, sono inusuali. Nella prima fase il lavoro è consistito nell’offrire una cornice documentale a queste persone, arrivate in Italia con un visto turistico di 90 giorni».
Le condizioni degli ospiti
Per i pazienti più gravi la riabilitazione sarà ancora lunga: alcuni hanno presentato una serie di fratture da trauma, altri invece hanno subìto le conseguenze più gravi dei bombardamenti degli ultimi mesi.
Il rapporto tra gli operatori e i cinque nuclei familiari accolti nella struttura è stato sempre sereno e improntato al dialogo. Tutti parlano quasi solo arabo, ma in questa fase si è rivelata molto attiva e di aiuto anche la comunità palestinese di Milano. «Nella maggior parte dei casi il futuro di queste persone prevede un inserimento nel sistema di accoglienza e integrazione – racconta Arricale -. Per una donna invece si proporrà il ricongiungimento al marito, che in questo momento si trova negli Emirati Arabi Uniti».
Oltre ai traumi fisici, le famiglie palestinesi soffrono infatti la separazione dai propri cari, ancora bloccati a Gaza. In queste fasi dell’evacuazione, i nuclei familiari non sempre seguono la stessa destinazione, e si predilige l’accompagnamento all’esterno della Striscia di chi sia in grado di affrontare fisicamente il viaggio. «Ci è capitato di ascoltare ospiti che chiedevano addirittura di poter ritornare a casa, per ricongiungersi con i propri cari – spiega Sara Peroni, referente dell’Area stranieri di Farsi prossimo -. Spesso la notte restano ore e ore senza dormire, al cellulare con chi è rimasto indietro o in altri Paesi, per non perderli di vista».
Prospettive e integrazione
Dai primi colloqui delle mediatrici con gli ospiti, è emersa una vita caratterizzata da un contesto di guerra senza fine. Una delle persone è nata in un campo profughi di Gaza. Dai propri cellulari mostrano i bombardamenti che hanno subìto e il ritrovamento dei bambini sotto le macerie. Il background socio-culturale di quasi tutte queste famiglie è medio-alto.
Peroni e Arricale descrivono bambini molto svegli, per cui in futuro sarà organizzato anche l’inserimento scolastico: «Adesso è quasi aprile e non manca molto. Questa è ancora una soluzione transitoria per loro, sarà necessario attendere gli sviluppi con le istituzioni per capire come muoversi».
Farsi prossimo ha attivato anche un servizio di counseling psicologico per le famiglie. La prossima sfida da affrontare infatti sarà l’emersione dei traumi psicologici di questi ultimi mesi. «Sono state settimane molto intense. Gli abbiamo dato anche il tempo di acclimatarsi e adesso è in corso il Ramadan. In questo momento non si vede, ma in base alla mia esperienza so che l’emersione di quanto vissuto avverrà solo quando si stabilizzeranno in un luogo».