«La Facoltà ha una storia di studi prestigiosi e noi ne siamo fieri. Questo atto è un’occasione per dire grazie, esprimere stima e anche per attenderci, dalla prolusione del Segretario generale del Sinodo, un approfondimento del dibattito. Un’occasione per pensare che sinodo e sinodalità non possono essere ridotti solo a slogan o istanze. Ci aspettiamo un’ispirazione che ci faccia comprendere che siamo una Chiesa che cammina secondo lo Spirito con gioia, con il gusto di essere in questa Chiesa. Per questo vale la pena studiare teologia a Milano, con vigore e con senso di appartenenza, confrontandoci con la città e con il contesto culturale»: così l’Arcivescovo ha aperto l’inaugurazione dell’Anno accademico 2022-2023 della Facoltà teologica dell’Italia settentrionale, di cui è Gran Cancelliere, e dell’Istituto superiore di Scienze religiose, nel quale ricopre il ruolo di Moderatore. Di grande attualità il tema della Prolusione affidata al cardinale Mario Grech, segretario generale del Sinodo dei Vescovi, dal titolo «Il popolo di Dio soggetto del percorso sinodale». una vera e propria Lectio magistralis, che non ha deluso le aspettative dell’Arcivescovo.
I saluti dei Presidi
Proprio a partire dalla scelta della tematica dell’inaugurazione, ha preso avvio l’indirizzo di saluto di don Massimo Epis, preside della Facoltà che conta oggi 468 iscritti e 62 docenti.: «Poiché la sinodalità riguarda il modo di vivere e di operare di tutta la Chiesa, anche per la nostra Facoltà questa è occasione per una verifica del ministero che siamo chiamati a svolgere. Siamo consapevoli che lo studio personale rimane esposto alla tentazione dell’autoreferenzialità, perciò è necessario esercitarsi nell’ascolto reciproco, nel confronto delle idee e nella condivisione dei progetti di ricerca», sottolinea, anche in riferimento «all’impegnativo e delicato discernimento» richiesto dai «requisiti accademici posti dalla Santa Sede alle istituzioni teologiche che impongono di ridisegnare la mappa dei nostri Istituti teologici affiliati. Un processo che non è enfatico definire epocale».
Parole condivise da don Ermenegildo Conti, preside dell’Issrm che, evidenziando il consistente aumento degli iscritti nei vari livelli dell’offerta accademica dell’Istituto (diverse centinaia le persone interessate), ha osservato: «L’ascolto e la sintesi, quali tratti fondamentali del cammino sinodale, chiedono una buona conoscenza teologica dell’essere Chiesa. Tuttavia, perché questo non sia un atto ecclesiale per pochi, è necessario che molti conoscano la teologia, per dare un contributo appropriato e pertinente in proposito. Forse è anche questo un modo per uscire dal clericalismo».
Le basi di una Chiesa sinodale
E se l’obiettivo ultimo di tutto questo è appunto la promozione della Chiesa sinodale, «capace di comunione, partecipazione, missione», come ha detto in apertura della prolusione il Cardinale, è evidente che si tratti di avere consapevolezza che il Sinodo «non è un evento, ma un processo» rispetto a quella che il porporato chiama «la novità fondamentale».
«Nell’attuale percorso sinodale 2021 2024, non è difficile rendersi conto che il popolo di Dio, ognuno in virtù del battesimo, si trova a essere, simultaneamente, soggetto e oggetto del percorso. Anche se in passato i temi del Sinodo hanno sempre riguardato i bisogni concreti del popolo di Dio, ora esso è chiamato per la prima volta a riflettere direttamente su se stesso, sulla dignità del ruolo dei battezzati nella Chiesa e nel mondo, sulla partecipazione di tutti all’unica missione ecclesiale».
Cruciale, in tale contesto, la fase che il Sinodo sta attraversando attraverso «il documento che viene ora restituito alle Chiese locali per permettere loro di prepararsi con i delegati nazionali alla Tappa continentale». Tappa che si svolgerà tra febbraio e marzo prossimi e «che potrà aiutarci a comprendere dal vivo chi è il popolo di Dio, svincolando questo concetto da visioni astratte o ideologiche».
D’altra parte, la massiccia partecipazione delle Chiese particolari che hanno inviato le loro sintesi (112 Conferenze episcopali su 114, per i Sinodi orientali 15 su 15, raccontando «speranze, fatiche, gioie e attese»), fanno ben sperare, suggerisce Grech, che ripercorre l’arduo cammino compiuto dalla Chiesa, avviatosi soprattutto con il Concilio: «La comune appartenenza al popolo di Dio e, dunque, l’uguale dignità di tutti i battezzati diventa il punto di avvio di un ecclesiologia rinnovata in cui le differenze puntate sulla molteplicità di ministeri e di carismi non sono abolite, ma ripensate come servizio ai fratelli». E, tuttavia, scandisce, «non si può negare che la lettura antigerarchica del popolo di Dio abbia ostacolato la ricezione della lezione conciliare e indotto a cercare categorie ecclesiologiche meno rischiose: per questo, almeno a partire dagli anni Ottanta, si è incominciato a guardare con interesse, tanto nel magistero quanto nella teologia, all’ecclesiologia della communio, categoria non meno antica a feconda di quella del popolo di Dio, ma apparentemente meno sovversiva». Fondamentale, in questo sviluppo, la seconda assemblea Generale straordinaria del Sinodo dei Vescovi, celebrata nel 1985 per commemorare il ventennale della conclusione del Concilio.
In tale orizzonte – evidenzia ancora il Cardinale – «non è difficile comprendere come l’insegnamento di papa Francesco si sia configurato, fin dai suoi esordi, come un fattore di novità all’interno del Magistero pontificio, determinando una significativa ridefinizione degli equilibri. Di fatto è possibile ritenere che, con l’elezione dell’arcivescovo di Buenos Aires al Soglio di Pietro, si è iniziata una nuova fase della ricezione del Vaticano II».
Non a caso, Francesco ha più volte detto: «L’immagine della Chiesa che mi piace è quella del Santo popolo fedele di Dio». E ha scritto in Evangelii Gaudium – in chiaro riferimento alla Costituzione dogmatica conciliare Lumen Gentium – che «essere Chiesa significa essere Popolo di Dio, che si incarna nei popoli della terra, ciascuno dei quali ha la propria cultura».
Il contributo della teologia
Da qui, l’affondo: «Sono convinto che proprio il riferimento fondante alla tradizione potrà aiutarci a superare talune resistenze. A essere contrario alla tradizione, nel senso più profondo di questo termine, come è illustrato nel secondo capitolo della Dei Verbum, non è il protagonismo del popolo di Dio, ma la sua marginalizzazione causata dall’assunzione, nella Chiesa cattolica, di modalità di governo ricalcate sui regimi politici di epoca moderna. Mentre siamo ancora in mezzo al cammino, la speranza è che sia possibile promuovere – senza fretta, ma anche senza indolenza – la maturazione di una nuova coscienza ecclesiale nella quale il popolo di Dio sia riconosciuto come soggetto e non come oggetto. Spetta a voi contribuire con le vostre discipline teologiche ad approfondire le potenzialità della Chiesa, sostenerla ad accompagnarla a diventare sempre più una Chiesa sinodale, soggetto della nuova evangelizzazione. La mancanza di questo esercizio teologico ecclesiale sarà una mutilazione della visione che siamo invitati a realizzare».
La Messa
Un percorso di discernimento responsabile sul quale il cardinale Grech è tornato nell’omelia della celebrazione eucaristica da lui presieduta nella basilica di San Simpliciano e concelebrata da una quindicina di sacerdoti tra cui l’Arcivescovo, i due Presidi e l’assistente ecclesiastico generale dell’Università Cattolica, monsignor Claudio Giuliodori: «Questo è un momento di kairòs anche per le Facoltà teologiche, perché non si dice solo che esse devono mettere i loro studi a servizio della sinodalità, ma che sono chiamate a pensare in grande secondo lo Spirito di Dio per sostenere una cultura sinodale diffusa, per essere sempre più una Chiesa missionaria capace di annunciare oggi il Vangelo».
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