Grande festa a Sant’Ambrogio domenica 12 novembre, quando alle 10.30 monsignor Mario Delpini celebrerà la Messa solenne prendendo possesso della Cattedra di Ambrogio (intronizzazione) e contemporaneamente monsignor Carlo Faccendini farà il suo ingresso come nuovo parroco e Abate. La liturgia prevede i tre gesti tipici che riassumono il ministero del parroco: la consegna del Lezionario, quindi della Parola di Dio; la consegna dell’aspersorio, in ricordo del Battesimo; la consegna degli oli santi, per la cura dei malati. Oltre ai familiari, monsignor Faccendini ha invitato i fedeli delle varie parrocchie in cui ha esercitato il suo ministero, da seminarista prima, e da insegnante a Merate poi, «ma in particolare tutti i decani e i parroci di Milano, perché di solito si invitano i parrocchiani e per me sono loro».
Monsignore, lei ha assunto il suo nuovo incarico il 7 settembre. In due mesi ha iniziato a conoscere qualche realtà?
Le sto incontrando piano piano: il Consiglio pastorale, gli operatori e le operatrici della Caritas, tutte le persone che hanno grande cura della liturgia, dalle Messe solenni a quelle quotidiane (tra l’altro tanti accedono a Sant’Ambrogio proprio per la preghiera e le celebrazioni). Sono molto contento, anche perché ho trovato un bel gruppo di preti e tra noi c’è una bella fraternità. Devo dire che sono tutti molto disponibili alle confessioni: qui c’è un forte giro di giovani per la presenza dell’Università cattolica, di scuole e pensionati… È un bel segno e sono tanti i ragazzi che si confessano. Lo facciamo ininterrottamente, dal mattino tra una Messa e l’altra, ma anche la sera: per questo sono sempre presenti tre o quattro preti.
Qual è la sua prima impressione della comunità di Sant’Ambrogio?
Ho trovato una parrocchia viva, fresca e capace di proposte di qualità. La gente è in gamba, disponibile e preparata. Le persone si ritrovano volentieri, in modo molto cordiale, si vogliono bene. Il grande merito è dell’oratorio, che fa da traino ed è la realtà più “calda”. La parrocchia di Sant’Ambrogio è una porta aperta al mondo, qui arriva di tutto. Se siamo capaci di ascoltare, accogliere, dedicare tempo, possono davvero accadere miracoli, anche nei cammini di fede. È un faro per Milano e dintorni.
Sant’Ambrogio quindi supera il confine del territorio parrocchiale…
Certo. Ma ho anche imparato che quanto più diventa efficace l’accoglienza al mondo (a chi arriva da fuori), tanto più è viva la realtà della parrocchia. Se la comunità è viva, riesce anche ad accogliere, elaborare proposte, animare una realtà più grande. La parrocchia però va curata, non va data per scontata. Questo vale soprattutto nel centro storico.
Ci sono aspetti o scelte pastorali che vorrebbe già attuare?
Ho scritto che mi sto introducendo in punta di piedi. Cerco di raccogliere la grande tradizione, gli elementi della vita della comunità con molto rispetto e attenzione. Più che avere la pretesa di fare subito qualcosa di nuovo, devo avere l’attenzione umile e paziente di guardare quello che c’è, perché è bello e grande. La priorità che ho è di ascoltare le persone una per una. Non darò per scontata la vita della parrocchia, la curerò molto, pur tenendo uno sguardo più grande. Quest’anno voglio andare molto adagio, stare a guardare e investire tempo per conoscere i gruppi e soprattutto le persone. Molti non parteciperanno mai ai gruppi, però vengono qui, pregano, cercano un confessore, un riferimento spirituale.
Come intende invece il rapporto con la città?
Il rapporto tra la Chiesa e la città è lo stile santambrosiano, di una Chiesa in profonda sintonia con la città, che serve la vita della civitas. Mi piacerebbe che la gente che vive qui l’esperienza di Chiesa imparasse anche a servire la città, vivendola con amore e responsabilità. Questo mi sta a cuore. Lo stretto legame tra la Basilica e la città va custodito come un bene prezioso, senza confusioni tra Chiesa e Stato.