Per la catechesi quaresimale di martedì 20 marzo sul tema della prova sono intervenuti i coniugi Linda e Roberto Bergamini insieme a Lidia e il piccolo Mosè, di origine eritrea. Famiglie che hanno saputo affrontare con coraggio sofferenza e difficoltà, sostenute da amici e comunità ecclesiali.
di Luisa Bove
Non è mai facile parlare delle prove che si devono affrontare nella vita, ma forse a distanza di anni risulta più semplice raccontare. Linda e Roberto sono sposati da 31 anni e hanno tre figli ormai maggiorenni, Chiara, Giovanni e Carlo, che «sono ancora sulle nostre spalle». Ma a casa Bergamini la notizia (11 anni fa) che Linda aveva un tumore al seno è arrivata come «un fulmine a ciel sereno».
«Quando mi hanno dato questa diagnosi», spiega la donna, «stavamo già vivendo un momento di “prova”», in quel periodo infatti c’era la madre morente. Doversi occupare di lei, ha distolto Linda dal suo male, e a distanza di tempo ammette che «questo è stato comunque un dono». L’immagine che oggi le rimane di quei mesi è la sensazione che «altri mi portassero in braccio, come si fa con i bambini».
La “prova” che ha dovuto affrontare Lidia – e ancora non ne è uscita – è ben diversa. La donna, di origine eritrea, vive in Italia da 7 anni, sposata, con tre figli. Ha dovuto lasciare il suo Paese per far curare il piccolo Mosè, che si è ammalato tre giorni dopo la nascita. «Non è facile», racconta la madre, «ho trovato tantissimi problemi, prima di tutto per la casa». I due hanno vissuto tre anni in comunità, poi dalle suore, in una cooperativa e dal 2003 sono in una casa popolare. Anche trovare lavoro non è stato facile.
La malattia di Linda ha coinvolto tutta la famiglia. «Io ho dovuto pensare più razionalmente alla gestione» e alle corse in ospedale, ma anche i figli hanno dovuto «dare una mano in casa», racconta Roberto. Certo non è stato facile pregare in quel periodo di prova, dice Linda, anche se con Dio c’è stato un «dialogo aperto», su ciò che «andava e non andava». In ogni caso, aggiunge il marito, «ci siamo sentiti sostenuti dal Signore, al quale ci siamo affidati subito». Senza contare la vicinanza da parte di amici, sacerdoti, parenti e «mia madre, che aveva affrontato la stessa malattia qualche anno prima».
Anche Lidia non è rimasta sola nella sua prova. «Ci sono i preti vicino a me», ammette, «gli amici e mio figlio», oltre ai compagni di scuola. Mosè ha dieci anni e frequenta la quarta elementare. «Mi aiutano quasi tutti i miei amici», dice con un sorriso, «però anche Gesù».
Tra le persone che le sono state vicino nel momento della prova Linda non vuole dimenticare la comunità cristiana, che considera una «rete di sostegno». Ma «non a tutto si può dare una risposta», continua, «alcune domande sono rimaste nel mistero». Col tempo i due coniugi hanno cercato un «senso» anche come «coppia» a ciò che era successo. Oggi si sentono di dire che da quell’esperienza ne sono usciti «molto rafforzati», riconoscendo quello che davvero conta nella vita.
E se Linda, di fronte alla diagnosi del carcinoma, ha saputo reagire lo deve anche a un «abbraccio» ricevuto dal medico al momento della notizia. «Il mio percorso e quello della guarigione è nato da quell’abbraccio», spiega, e dalle parole che l’hanno accompagnato: «Vedrai, lotteremo insieme e ce la faremo». E così è stato.
Nonostante le difficoltà anche Lidia si ritiene «fortunata». In Italia «non mi è mancato nulla», anche se non conosceva nessuno. L’aiuto le è venuto dagli «amici» e dalla «Chiesa», ma quello che più le sta a cuore è la salute di suo figlio che «è già migliorato moltissimo». E poi aspetta di «abbracciare i miei figli in Italia e anche mio marito».