«Per il nostro Convegno annuale abbiamo scelto una questione che ci pare non certo periferica rispetto al dibattito contemporaneo, perché intendiamo riflettere sulla questione della verità nell’attuale contesto pluralistico, anzitutto da un punto di vista filosofico e politico-culturale». Così don Massimo Epis, preside dalla Facoltà teologica dell’Italia settentrionale, definisce la scelta operata e l’orizzonte in cui si colloca l’assise sul tema «Consenso democratico e verità cristiana. Dire la fede in un contesto pluralistico», in programma martedì 20 febbraio nella sede di piazza Paolo VI 6, in due sessioni (dalle 9.30 alle 17), promossa dalla Ftis in collaborazione con l’Istituto superiore di Scienze religiose di Milano (leggi qui). L’Arcivescovo, anche nella sua veste di Gran cancelliere delle due realtà accademiche, sarà presente nel pomeriggio.
Come coniugare parole-chiave di oggi come pluralismo e democrazia?
Ci è parso che, in un’epoca di meticciato dei mondi culturali, il pluralismo appaia sempre meno un’opzione e sempre più un destino, però dagli esiti paradossali. È sintomatico che la forma democratica della vita pubblica sia, per un verso, rivendicata come baluardo di libertà e, dall’altro, registri oggi una certa crisi o almeno soffra di una disaffezione. Come interpretare le diverse opzioni sarà compito del Convegno di studio.
Perché una Facoltà teologica tratta questi temi?
Se la fede cristiana è il nome di una relazione da vivere al presente con il Signore Gesù, la fedeltà al proprio tempo è una condizione intrinseca alla fede stessa. Perché questa fedeltà venga esercitata in modo non acritico, occorre essere consapevoli delle trasformazioni in atto, mediante l’indagine dei tratti salienti della loro manifestazione e discutendone le ragioni profonde. Si tratta di compiti vasti, che coinvolgono direttamente lo stile ordinario del fare teologia.
A suo modo di vedere, parlare di verità cristiane crea problemi in un contesto pluralista?
La fede cristiana non è a disagio con il pluralismo. Ne è segno la fecondità del Vangelo, nella vitalità del suo radicarsi nella varietà delle forme di vita e delle condizioni culturali attraverso i secoli. C’è una pluralità che è istanza intrinseca alla fede, perché relativa all’esperienza sempre originale e personale del discepolato. Allora, dall’ampia riflessione storica sulla “cattolicità”, si deve almeno ritenere che, proprio in nome della forma cristiana della fede, l’approccio al pluralismo non può essere semplicemente passivo, rispetto al quale non rimarrebbe che atteggiarsi in difesa. Fare appello alla verità non è un retaggio nostalgico di una società nella quale l’ordinamento socio-politico, l’organizzazione del sapere e il quadro religioso erano fortemente integrati.
Ma la verità tante volte oggi non è confusa con il cosiddetto mainstream, il pensiero dominante?
Sì, vi sono addirittura buoni motivi per sospettare della verità, pensando a quando viene brandita come un alibi per propugnare fanatismi e intolleranze. A fronte della sostituzione della verità con il mainstream, non mancano segnali di allarme, evidenti oggi, nei confronti delle nuove forme di strumentalizzazione dell’opinione, funzionali a una logica mercantile sempre più cinica, che trova supporto nei formidabili sviluppi tecnologici in atto. Su questo la riflessione teologica è sollecitata a fare chiarezza.